Sarà forse la voluminosa capigliatura afro, la disinvoltura con cui porta i chili di troppo o più probabilmente la quantità di sorrisi che regala a chi ha sfidato il maltempo e il traffico del venerdì sera per sentirla cantare, ma Yola ispira una contagiosa simpatia nel momento stesso in cui sale sul palco, anche se non è il suo buonumore ad aver sedotto Dan Auerbach e a entusiasmare il pubblico della Santeria di Milano, bensì la meraviglia di una voce che è chiaramente un raro dono. A vederla sembrerebbe un personaggio uscito da un romanzo di Toni Morrison o dalle sequenze di Via Col Vento, invece Yolanda Quartey è cresciuta a Bristol in Inghilterra scoprendo Muscle Shoals nei dischi di Joe Cocker e sognando il Laurel Canyon con le canzoni di Joni Mitchell: è a quell’immaginario che si ispiravano i Phantom Limb, una band che intrecciava soul e Americana alla maniera dei primi Alabama Shake, purtroppo durata giusto il tempo di un paio di dischi, e sono quelle atmosfere che riempiono Walk Though Fire, l’esordio solista prodotto dal chitarrista dei Black Keys e pubblicato dalla sua etichetta Easy Eye Sound.
Sospeso tra le ariose melodie che echeggiano nel Ryman Auditorium di Nashville e i suoni bollenti della Stax di Memphis, Walk Through Fire è riuscito a suscitare gli entusiasmi della critica praticamente ovunque, ispirando lodi come quella del sito Allmusic “…un disco straordinario, progettato per essere parte della grande tradizione musicale, che contiene abbastanza emozioni e immaginazione per guadagnarsi un posto in quel lignaggio…”. A dimostrarne il valore ci sono le quattro nominations ai grammys per cui Yola esprime stupore e gioia e concerti come quello dello scorso 22 novembre alla Santeria di Milano, nel corso del quale la cantante inglese ha incantato il pubblico con la magia di una voce calda ed espressiva, capace di sussurri blues, acuti soul, sospiri gospel e fragranze pop come poche altre.
Dal vivo mancano i ricercati arrangiamenti e i celebri session men del disco, ma si apprezzano i movimenti ordinati e i sincronismi perfetti di una band composta da un chitarrista che si destreggia tra telecaster e pedal steel, da un multistrumentista che alterna tastiere e chitarra acustica, da un bassista che giostra tra l’eleganza del contrabbasso e il ritmo del basso elettrico, da un batterista che frusta tempi funky e spazzola ballate soul e da un tastierista che suona con un tocco blues. Quando le luci si spengono in sala, la band attacca il motivo di Lonely The Night, una canzone che sarebbe piaciuta a Roy Orbison, e quando Yola comincia a cantare sono subito brividi per la potenza e le sfumature di una voce che fa venire in mente regine del soul come Aretha Franklin o Etta James. Il repertorio si concentra ovviamente intorno alle canzoni di Walk Through Fire, da cui vengono scelte lo spazioso country soul di Ride Out In The Country, la deliziosa titletrack, il suadente folk di Shady Grove, il gospel di It Ain’t Easier, con cui Yola prova a coinvolgere il pubblico, o il romantico pop di Faraway Look, che suscita i maggiori applausi.
Non mancano ballate di velluto sospese tra soul e jazz come Deep Blue Dream, sensuali r’n’b come Love All Night (Work All Day) e fiammate funky come Never Go Back, rilettura virata black di un brano del duo folk Birds Of Chicago, ma le sorprese arrivano quando Yola intona una Yellow Brick Road di Elton John come se l’avesse scritta Fats Domino o quando mette insieme Big Yellow Taxi di Joni Mitchell e The Letter dei Box Tops in un medley che profuma di Motown, per concludere con un omaggio ad Aretha Franklin con la scatenata Spanish Harlem. Poco più di un’ora di concerto, ma abbastanza emozioni per rendersi conto del valore di un’artista che finalmente pare aver trovato la giusta dimensione per il proprio talento e ci si augura la strada giusta verso il meritato successo.