In una Milano dal clima già tardo primaverile e affollatissima per via del sempre partecipatissimo Salone del Mobile – e del relativo Fuori Salone – arrivano anche i Woods con le loro melodie ariose e leggere a portare un senso di svagata freschezza. Il Serraglio non sarà forse pienissimo, però la partecipazione del pubblico è più che buona e, una volta tanto, tra le sue fila si contano non pochi under 30.
In apertura di serata un set intimo ed accorato del cantautore parigino Miles Oliver, il quale ha proposto un pugno di brani autografi per voce e chitarra elettrica (solo in un caso alla tastiera), avvolgenti e malinconici, in bilico tra cantautorato indie e le brume del sadcore. Non originalissimo magari, ma comunque piacevole.
Il quintetto di Brooklyn, invece, attraverso una discografia già piuttosto lunga e frastagliata – una decina di titoli almeno, dal 2007 ad oggi – una sua originalità è riuscito a raggiungerla. Lo psych-folk servito in salsa lo-fi degli esordi si è via via trasformato in un sound ben più rifinito e personale. Pur mantenendo entrambi i piedi all’interno dell’immenso alveo neo-psichedelico, i Woods permettono alle loro canzoni di farsi permeare da suggestioni pop, così come da qualche assolata sfumatura reggae, si adagiano su dolci melodie attorniate da sonorità elettroacustiche, ma sanno anche partire per lunghe ed acide jam chitarristiche, mescolando suggestioni sixties, folk-rock, persino qualche vaga tentazione funky (vedi la melliflua e ritmata Love Is Love, singolo che anticipa l’imminente, omonimo album, presentata anche in questa serata).
In formazione a cinque – voce, due chitarre, basso, tastiere e batteria – in qualche pezzo aumentata a sei grazie all’innesto di un trombettista, per un’ora e mezza circa i Woods hanno dato corpo a queste loro idee musicali, dimostrando di saper giostrare egregiamente il melting pot musicale di cui si fanno portatori. Accompagnati dal falsetto del cantante e chitarrista Jeremy Earl, ci siamo tuffati in un caleidoscopio di suoni dai quali non è improbabile sentir spuntare un passaggio in odor di Byrds, qualche accenno melodico tale da riportare ai Love, qualche tirata lisergica da indurre a sognare la San Francisco di fine anni ’60. Pur avendo solo in parte pezzi in grado di rimanere realmente incastonati indelebilmente nella memoria, i Woods sanno come affascinare e la loro resa live dimostra ulteriormente la loro capacità di intrattenere con classe. Notazione personale: tra le loro due anime, probabilmente, preferisco quella elettrica e meno pop, ormai minoritaria nei loro dischi, ma, come dicevo, sono gusti per l’appunto.