C’è ancora chi distilla clandestinamente il whiskey lassù tra le scure montagne della Virginia. Cappellacci da cowboy, capelli lunghi, barbe, baffi e stivali, l’immaginario fuorilegge del West vive negli Whiskey Myers, la band texana con l’intatto orgoglio di tenere ancora alta la bandiera del southern rock. Hanno suonato al Serraglio di Milano in un locale pieno di appassionati del genere, dimostrazione che quella scena non è stata dimenticata e raccoglie un pubblico che abbraccia tutte le fasce di età, e nelle quasi due ore di concerto hanno brillantemente messo in mostra di che ruvida pasta sono fatti. Un ensemble di sei musicisti che suona per il piacere di farlo e per soddisfare il pubblico che gli sta davanti, con un cantante dall’ugola arrochita e arsa come un bourbon degli Appalachi. Si chiama Cody Cannon e tiene la scena con il carisma di chi non ha altre cartucce da sparare se non un viscerale e sudato rock n’roll, impugnando a volte la chitarra e sputando l’anima in canzoni che attraversano le praterie di una musica a volte rozza e dura e a volte dondolante attorno a ballate che fanno venire in mente Simple Man dei Lynyrd Skynyrd.
Non a caso uno degli highlights di questa tappa del Die Rockin’ Tour è stata Ballad of Southern Man e allora i ricordi non paiono un optional ma suffragano l’affermazione dello stesso Cannon “ci presentiamo sempre come una band di contadini del sud che cerca di suonare del rock n’roll, questo tour mi ha dato la possibilità di sbarcare in nuovi paesi, facendomi impazzire di gioia”. Semplici, onesti e sinceri come il loro set fatto di echi sudisti e rock texano, assolo torcibudella e due batterie sincronizzate sul tambur battente di una musica che scuote, infiamma, mette addosso i fremiti di una legione rockista che le intemperie della modernità non ha sconfitto. Sia lode a loro e a quanti ancora suonano con istinto e spontaneità senza intellettualismi una musica che nasce dal duro lavoro sul palco e nei tour.
Che poi abbiano seguito, sia in America che in Europa, la dice lunga sulla fame ancora esistente di certi piatti non sofisticati ed addizionati ad hoc. C’erano bikers, ex e nuovi hippie, tatuaggi e t-shirt con le scritte che richiamavano Allman, Black Crowes, Skynyrds, Blackberry Smoke, Hogjaw, Shooter Jennings, Harley-Davidson e perfino John Mellencamp, c’erano i capelli lunghi e scarmigliati dei più giovani, le barbe incolte e le teste incanutite dei più anziani, c’era il popolo del rock che brindava con birra e urla alle fulminanti e secche entrate di John Jeffers e Cody Tate, i due chitarristi che marcavano a fuoco le canzoni, uno con uno stile più bluesy, l’altro più incline all’hard rock. Il bassista Jamey Gleaves toccava le corde come se suonasse anche lui la chitarra e Jeff Hogg e Tony Kent riproponevano con la doppia percussione lo stantuffo del treno del Sud come erano solite fare le band storiche del genere.
Certo non sono dinamici, smaliziati e poliritmici come la sezione ritmica recentemente ascoltata al concerto super della Tedeschi-Trucks Band, sono quadrati e martellanti ma va bene lo stesso perché il distillato degli Whiskey Myers è roba forte e alcolica, diversa dal raffinato liquore invecchiato in botte. È roba urgente da bere d’un fiato, capace di accendere il sangue e bruciare lo stomaco pur offrendo qualche dolcezza romantica quando le ballate allentano i sentori mainstream e l’ugola un po’ troppo Bryan Adams di Cody Cannon. Canzoni estratte dalla loro non immensa discografia, soprattutto da Firewater e da Mud, album che ha raggiunto il primo posto della classifica di I-Tunes con il singolo Stone, salutato con un boato dai presenti. La stessa festa riservata a Broken Window Serenade, a Deep Down In The South e Bar, Guitar and The Honky Tonk Crowd, due titoli che dicono bene sulla loro natura e della loro spicciola filosofia, a Mud e Trailer Come Home emblemi di un rock che sguazza nelle paludi e cavalca libero nelle distese di uno stile comunque non distante dal country outlaw e dal boogie.
Ottima la front line chitarristica con ganci spesso al limite della distorsione, così come il gesto di un cantante che sul comodino possiede l’immaginetta di Ronnie Van Zandt, serrati i ritmi e azzeccata la scelta di far cantare Cody Tate in Different Mold e John Jeffers in Bitch così da diversificare il menu, travolgente il finale con una versione a tutto spiano di Rockin’ In The Free World di Neil Young. Gli Whiskey Myers hanno concesso al Serraglio un set che ha avuto il merito di rinfrescare le idee a chi aveva dimenticato l’eccitante lezione del southern rock, rivelandosi più ruvidi e credibili dei tanto incensati Blackberry Smoke e regalando una serata da perfetto roadhouse texano.