Tales Of Faith And Lunacy – recensione sul Busca 438 – è il secondo album di Nero Kane, progetto psych dark folk, così come da definizione del suo autore, del singer songwriter Marco Mezzadri. Atmosfere western gotiche che vi faranno pensare a Nick Cave, a certe cose di Lanegan, al fulgore biblico di David Eugene Edwards e che, in questo nuovo album, grazie anche all’accresciuto contributo dell’artista multidisciplinare Samantha Stella, collaboratrice principale di Mezzadri in questo progetto, si sono ulteriormente scurite in direzione di un suono ancora più misterioso e conturbante. Siamo andati a fondo nell’indagare la loro musica, chiacchierando direttamente con Nero e Samantha. Ecco cosa ci siamo detti.
Partiamo dall’inizio. Mi potete raccontare il vostro percorso artistico fino alla nascita del “progetto” Nero Kane?
Nero Kane Ho iniziato a suonare nel 2007 e a pubblicare dischi nel 2009 con un progetto proto punk – garage rock oriented, di cui ero cantante, bassista e autore. Dopo questo percorso, durato fino al 2013, ho deciso di intraprendere un’attività solista che è iniziata con un album di transizione, un misto tra garage rock e new wave, pubblicato nel 2016. Da lì ho poi avuto un cambio di passo che mi ha portato alla scelta del nome artistico Nero Kane e ad uno spostamento di genere verso lande decisamente più folk-cantautorali. Questo nuovo assestamento si è poi consolidato con la pubblicazione dei due album Love In A Dying World (2018) e Tales of Faith and Lunacy (2020). Dal 2015 collaboro con Samantha Stella su vari fronti artistico- musicali.
Samantha Stella Mi occupo di arte nei suoi molteplici linguaggi dal 2005. Per dieci anni ho firmato progetti tra fotografia, video, performance, installazioni, set e costumi per spettacoli di danza con debutti internazionali in gallerie d’arte, musei e teatri a nome Corpicrudi insieme a Sergio Frazzingaro. Nel 2015 ho iniziato una carriera solista come artista visiva e la collaborazione con Nero Kane. Mi contattò lui per la realizza- zione di alcuni video musicali, nel 2016 io gli proposi la performance artistica Hell23, presentata insieme a Milano e all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles. L’anno dopo ritornammo a Los Angeles, presentammo sempre all’Istituto Italiano di Cultura in anteprima una performance con videoinstallazione di un episodio tratto dal film sperimentale che stavo girando nei deserti californiani con lui, basato sulla musica del suo album di debutto che stava registrando nello studio di Joe Cardamone. Ed eccoci a Love In A Dying World.
Love In A Dying World prendeva corpo grazie a un viaggio nelle ghost town americane. Il nuovo Tales Of Faith And Lunacy ha radici in opere letterarie e in alcune figure poi in qualche modo trasfugurate in queste canzoni. Quanto è importante avere un concept, un’idea forte nella realizzazione dei tuoi dischi?
NK Nei miei ultimi due album a firma Nero Kane il concept è molto importante, se non fondamentale, ed è anche la linea guida che mi piace seguire nella creazione di un nuovo racconto sia sonoro che estetico- immaginifico. Cercare di unire l’esperienza dell’ascolto a quella del testo, del viaggio raccontato, in modo da creare un prodotto unitario e completo, è dunque un aspetto chiave del mio tipo di songwriting. Probabilmente questa caratteristica è da attribuire in primis alle mie influenze che sono per lo più pittorico letterarie.
Mi sembra che nelle tue canzoni ci sia spesso come una sorta di dimensione “mitologica”, una sorta di filtro artistico ad amplificare o trasfigurare la realtà…
NK Come anticipavo prima, le mie influenze arrivano per lo più dalla sfera pittorico letteraria. Pittori come Caravaggio, Caspar David Friedrich, la Confraternita dei Preraffaeliti o scrittori e poeti come D’Annunzio, Foscolo, Leopardi, Dostoevskij o gli americani Cormac McCarthy, Kent Haruf, Edward Bunker sono alcune delle mie influenze più dirette. Ad essi si associano registi come Jim Jarmusch, David Lynch, Béla Tarr, Wim Wenders o i fratelli Coen e quelle forti ambientazioni di “frontiera”. Tutto poi è spesso filtrato da un profondo aspetto autobiografico, decisamente più marcato in Love In A Dying World e più trasfigurato in Tales of Faith and Lunacy. Tralasciando la parte musicale, diciamo che tutto quello che mi circonda può divenire una forma di ispirazione da miscelare sempre con il mio personale sentire. Probabilmente è proprio questo il filtro artistico di cui parli e che agisce su quanto rappresentato.
SS Per quanto rigarda i tre testi che ho scritto e cantato per Tales of Faith and Lunacy (Mechthild, Magdalene e Angelene’s Desert) sicuramente c’è una coerenza con il concept di base dell’album, dove tutto è nato tra me e Nero e si è amalgamato in modo piuttosto naturale. Rimasi colpita ed ispirata dalla lettura degli scritti raccolti in The Floating Light of the Godhead (La Luce fluente della Divinità) della mistica medievale tedesca del XIII° secolo Mechthild Von Madgeburg, che descrivono una fervente passione per Dio al limite della censura. Nacque il testo di Mechthild, attuale secondo singolo tratto dall’album, di cui ho citato nel termine anche un passo tratto dagli scritti originali. Ovviamente si tratta di una mia libera interpretazione della figura di questa mistica, che nel testo ho trasposto in una dimensione western americana, dove scappa dopo aver sparato dinnanzi all’altare all’uomo che avrebbe dovuto sposare, fuggendo in una cavalcata febbrile nel deserto mentre afferma che è sposa solo di Dio. Il confine tra passione, fanatismo religioso e follia si fa molto labile. Magdalene dipinge la figura biblica della Maddalena sotto la fiamma della sua passione per Gesù, quindi Dio. Angelene’s Desert, che è il primo testo dell’album che ho scritto e avevamo già proposto nei nostri ultimi concerti, è di fatto una sorta di reading poetico dove narro un paradiso che non esiste più. Ho immaginato un deserto che non esiste, ispirato, solo nel titolo, alla canzone Angelene di PJ Harvey. Quindi, tornando alla tua domanda, si, direi che la tua definizione di amplificazione artistica “mitologica” sia piuttosto pertinente.
Dopo gli ottimi riscontri del primo album, avevi in mente un preciso obiettivo per il suo seguito o le sue sembianze hanno preso forma durante la sua realizzazione?
NK No, non c’erano linee guida. Tutto è nato in maniera molto spontanea e il concept si è delineato progressivamente con l’avanzare della stesura dei brani. Essendo di base un songwriter, penso che questo sviluppo creativo sia stato guidato fondamentalmente dal mio progressivo percorso di ascolti e influenze. Tale percorso, unito a quello di Samantha, che in questo disco ha un ruolo decisamente di rilievo, ha portato alla stesura del nuovo album. L’unico obbiettivo che da sempre era chiaro era quello di fare un lavoro di spessore, con un sound più cupo e profondo, meno minimale rispetto al precedente, ma senza perdere il sapore “desertico-americano” che contraddistingue il mio stile.
I due album, pur marcando chiaramente delle similitudini, suonano in realtà piuttosto diversi. Dove il primo era scarno e tutto sommato cantautoriale, questo nuovo ha un suono decisamente più pieno, ci sono ancor più chiare aperture verso le psichedelia e la drone music estatica. La parte più platealmente musicale è in definitiva una presenza più “ingombrante”, in senso buono ovviamente, con un ottimo bilanciamento tra scrittura e suono. Cosa puoi dirmi di questo cambio di passo?
NK Come anticipato, il cambio di passo è nato in primis da determinati ascolti e influenze. Artisti come Nico, Wovenhand o Swans/Angels of Light, ma anche l’ultimo Nick Cave e certe ballad alla Mark Lanegan, per arrivare ad alcune suggestioni alla Burzum di “The Ways of Yore” o al sound spaghetti western, hanno avuto un certo peso nel background generale. La parte musicalmente più malata, oscura, ripetitiva e decadente ha preso il sopravvento su quella più folk-cantautoriale e il risultato finale è questo maelstrom che noi identifichiamo con la definizione di “psych dark folk”. A ciò ha poi ampiamente contribuito un certo tipo di produzione volutamente basata su bordoni di archi e drone. Infine anche l’introduzione della voce di Samantha ha contributo molto a rimarcare e dare maggiore profondità al generale mood oscuro e gotico del disco.
Vista la più marcata presenza di Samantha in questo nuovo disco, viene da chiedersi: Nero Kane è un progetto solista di Marco Mezzadri o è sempre più un progetto a due?
NK Mi piace identificare Nero Kane come un progetto solista a tutti gli effetti, nonostante l’apporto di Samantha sia un fattore importante. La nostra collaborazione è sicuramente uno stimolo, ma ci tengo anche a mantenere la mia indipendenza artistica. Non so infatti come sarà il mio percorso futuro e non avere legami netti mi lascia un margine creativo più ampio. Detto ciò, spero comunque di poter collaborare con Samantha anche su nuovi progetti e canzoni, anche perché sin dal 2015 è lei che cura la parte estetico visuale dei miei lavori e i nostri mondi e le nostre visioni sono, in maniera naturale e profondamente sincera, molto uniti.
Parlando appunto del comparto “estetico visuale”, qual è la sua importanza? Come si struttura? In che modo si integra con la parte strettamente più musicale?
NK L’estetica è per me un fattore da sempre fondamentale. L’immaginario è tutto, soprattutto se si parla un certo tipo di linguaggio musicale. Video, foto, arrivando all’uso di determinate luci sul palco, contribuiscono a creare un tuo personale e specifico mondo che ti identifica e amplifica quello che stai suonando. Inoltre curare direttamente e personalmente questa parte è anche un modo per indagare il tuo messaggio comunicativo. Un ulteriore livello per approfondire il tuo sentire e imprimere il tuo marchio. La nostra ricerca estetica è però scevra da forzature. Ci piace presentarci e rappresentarci per quello che siamo.
SS È una compenetrazione fondamentale, concetto, suono, estetica. Che si crea direi naturalmente, in modo sinestetico.
Per Samantha. Per il primo album avevi realizzato un film, stavolta dei video. Puoi parlarmene? Li avete concepiti assieme tu e Marco?
SS Si, Love In A Dying World è un film sperimentale diviso in dieci episodi che fu presentato tra il 2018 e il 2019 in diversi musei, gallerie d’arte, teatri e ex-chiese in Italia, nonché sulla piattaforma di Artribune TV, basato sulle musiche dell’omonimo album di debutto di Nero Kane. Talvolta, alla presentazione con talk di critici d’arte e giornalisti, è stato affiancato un nostro concerto. Nel caso di Tales of Faith and Lunacy è stato concepito un cortometraggio, al momento diviso in due episodi per il lancio dei due singoli tratti dall’album, Lord Won’t Come e Mechthild. Sia nel film che nel cortometraggio, regia, concept e montaggio sono miei, e in entrambi i casi io e Nero siamo i protagonisti. Quando in scena ci sono io, le riprese, normalmente mie, sono effettuate da Nero. Mentre il film è stato interamente girato in California, nel corto ci sono parti di paesaggio girate in California, e parti invece girate in Italia. Una pertinenza estetico concettuale, come sempre, visto che questo ultimo album si sviluppa tra le radici americane e una contaminazione estetico-religiosa europea. Inoltre, una continuazione estetica con il primo progetto, visto che alcune riprese sono tratte dagli stessi scenari, ma mentre il film era a colori, così come la mia fotografia di copertina dell’album, il cortometraggio presenta un bianco e nero più gotico e denso di simboli religiosi. Parlando di ispirazioni estetiche, citerei film, e quindi relativi mood e paesaggi, che sono molto cari sia a me che a Nero, come Il cavallo di Torino di Béla Tarr, Dead Man di Jim Jarmusch e Paris, Texas di Wim Wenders.
Il primo album era stato realizzato negli Stati Uniti con Joe Cardamone. Quest’ultimo è stato prodotto da Matt Bordin. Come è stato lavorare con due musicisti come loro? Quali le principali differenze?
NK La differenza principale sta in primis in come ho affrontato i due lavori. In America con Joe c’è stata più pressione, dettata anche dal fatto che il tempo era limitato, i costi più elevati, e che le incomprensioni tecniche erano più difficili da gestire proprio per il fatto che non parlavamo la stessa lingua. Inoltre Joe è un tipo di produttore più autoritario, che a volte può mettere in difficoltà l’artista. Detto ciò ha un talento che lo contraddistingue e una visione musicalmente molto avanti per certi aspetti. Devo dire che l’esperienza americana mi ha formato profondamente proprio per la tensione, anche positiva, con la quale è stata vissuta. Matt dall’altra parte è un produttore a mio avviso più empatico e, forse anche per la mia maturata esperienza, il lavoro in studio con lui è stato più semplice e veloce. Anche lui ha un grande talento e la riuscita dell’album è merito ovviamente anche delle sue capacità. Inoltre Matt ha un tipo di cultura musicale che credo si sposi meglio con il mio attuale percorso, ed è anche per questo che trovo questo nuovo lavoro più completo. Indubbiamente però il lavoro con entrambi ha dato risalto ai vari aspetti della mia musica. Con Joe è venuta fuori la parte più minimale e desertica che contraddistingue le mie canzoni/ballad, mentre con Matt è venuto fuori maggiormente l’aspetto oscuro, decadente e malato del sound. Due mondi che convivono in egual misura nel mio linguaggio.
Senti di avere dei contatti con quanto musicalmente accade in Italia o vedi Nero Kane come un progetto dal respiro più internazionale?
NK Non ho mai prestato grande attenzione alla scena italiana per quanto abbia una certa conoscenza di determinati artisti sia passati che attuali. In Italia ci sono sicuramente realtà molto valide, penso ad esempio ai vari artisti che rientrano nella cosiddetta Italian Occult Psychedelia, ma il progetto Nero Kane è sicuramente più orientato verso l’internazionalità. D’altra parte gli ascolti che da sempre guidano il mio percorso musicale arrivano principalmente dall’estero.
SS Mi sento più vicina da sempre ad una scena internazionale. Musicalmente i nostri riferimenti sono quasi per la totalità non italiani, del resto scriviamo e cantiamo in lingua inglese.
Se doveste raccontare a qualcuno la vostra musica attraverso dischi, libri e film altrui (anche opere d’arte se volete) quali scegliereste?
NK Molte sono le opere che vorrei inserire. Probabilmente sceglierei i dipinti Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi e Un uomo e una donna in contemplazione della luna di Caspar David Friedrich (per cui ho anche scritto un brano non ancora pubblicato), il romanzo Il Trionfo della Morte di D’Annunzio, la soundtrack di Neil Young del film Dead Man di Jim Jarmusch, l’album Desertshore di Nico, il cimitero di Ludlow in California (dove è stato girato il video del mio brano Now The Day Is Over) e l’Abbazia di San Galgano in Toscana.
SS Bellissima domanda. Direi che scelgo un madrigale e una scultura. Per descrivere il mood di Love In A Dying World il bellissimo madrigale Lamento della Ninfa del compositore Claudio Monteverdi su testo di Ottavio Rinuccini (ca. 1614), di cui ho in mente l’atipica cover performata dalla songwriter norvegese Ane Brun. Necessità di amore. Solitudine. Lamento. Mentre per Tales of Faith and Lunacy opto per La Maddalena Penitente, splendida scultura di Antonio Canova (1796), conservata nei Musei di Strada Nuova di Genova, per altro la mia città natale. La bellezza del neoclassicismo e la malinconia lasciva del pre-romanticismo. Fede e passione. Morte. Simbolo.
Questo nuovo album sta giustamente raccogliendo plausi un po’ ovunque, ma ovviamente, come per tutti gli artisti è fondamentale poter suonare dal vivo. Come state affrontando questo periodo particolarmente problematico?
NK La promozione web italiana ed estera è stata una parte che ha preso molto tempo, e sulla quale ci siamo concentrati con impegno vista anche l’impossibilità di poter promuovere l’album dal vivo. Le gratificazioni sono comunque arrivate dalle ottime recensioni ricevute e dal supporto delle tante persone che hanno acquistato una copia del disco e che hanno iniziato a seguire il progetto. Ovviamente, però, non potersi esibire dal vivo pesa tanto. In primis sul tuo stesso morale e sulla tua stessa auto-crescita. Esibirsi in due, con un set molto minimale, basato su voce, chitarra e tastiere, è sempre una grande sfida che personalmente non è facile da affrontare. Perdere confidenza col palco quindi non aiuta. Detto ciò il mio lavoro è andato avanti e devo dire che la creatività non ne ha risentito particolarmente, anzi ho dedicato ancora più tempo a suonare e a scrivere. L’obbiettivo è ovviamente quello di registrare un nuovo album e di andare avanti seguendo, nonostante le mille difficoltà, l’unica via che possiamo seguire, ovvero quella di dedicarci sempre e comunque all’Arte.
SS Ci stiamo concentrando molto sulla promozione internazionale di questo album, devo dire con ottimi risultati sia in Italia che all’estero, che ci gratificano e mitigano le sofferenze dovute all’immobilità fisica che non è, però e per fortuna, immobilità dell’anima. La quale vaga, come sempre, nei meandri del nostro piccolo immenso mondo immaginale che è in costante movimento.
Cosa ne pensate del ripiego dei concerti in streaming?
NK A momenti ne sono attratto e in altri è una idea che rifuggo. Diciamo che se ci fossero le condizioni ideali per fare qualcosa di qualitativamente valido, magari una prova la farei. Ma solo per curiosità, non certo per farla diventare una prassi. L’esperienza live, fisica, reale, tangibile, è e rimane insostituibile. Capisco anche che lo sconforto, unito all’incertezza costante che da sempre si ha in questo settore, abbia portato allo sviluppo e al dilagare di questo mezzo, che io considero comunque come un semplice palliativo.
SS Ho formato la mia esperienza artistica su palchi teatrali o comunque reali, abituata a performare attorniata da un pubblico presente con cui si forma un prezioso scambio energetico. Non li definirei concerti in streaming, piuttosto parlerei di una sorta di forma ibrida di documentazione video di un live trasmessa in streaming, così come costruisci un video o un film, con la differenza che l’esecuzione musicale è tutta di seguito, e non edulcorata da eventuali tagli e montaggi. Se queste dirette streaming sono costruite in un ottimo set curato, con un’ottima regia e suono, il risultato potrebbe essere gradevole, ma molto lontano dalla forza di un concerto o di una qualsiasi performance live.
Progetti imminenti?
NK Un terzo video e nuovi brani per la stesura di un futuro album.
SS Continuare il progetto con Nero, il nuovo format della mia rubrica di Arte e Musica su Artribune, e, spero, la presentazione di alcuni miei progetti artistici, di cui uno molto importante in collaborazione con l’Università di Astrofisica di Birmingham, che sono stati posticipati dal 2020 per via della pandemia.