Foto: Lino Brunetti

In Concert

Wand live a Lugano (CH), 10/2/2018

Di tutte le band della contemporanea scena garage-psych, probabilmente i Wand sono quelli dalle nostre parti meno conosciuti. Sicuramente meno rispetto a formazioni come Thee Oh Sees o White Fence, giusto per dirne due, per non parlare poi di tipi come Ty Segall o Mikal Cronin. Eppure Cory Hanson, che dei Wand è cantante, chitarrista e principale autore, non è uno di primo pelo. La gavetta, prima di mettersi in proprio, l’ha fatta per l’appunto alla corte di Cronin; quanto a Segall, non si può dire che non l’abbia frequentato, avendo fatto parte, tra l’altro assieme al batterista dei Wand Evan Burrows, di quei Muggers con cui Ty ha girato nel suo fantastico tour del 2016.

A parte un ottimo disco in proprio di folk psichedelico (The Unborn Capitalist From Limbo), Hanson è autore con la sua band di ben quattro album dal 2014 ad oggi, testimoni di un percorso che li ha visti passare dalle distorsioni al confine col noise degli inizi, alle più pacate elucubrazioni di lavori come 1000 Days o come l’ultimo, bellissimo Plum, testimoni di una notevole maturazione in termini di songwriting e attenzione ai particolari.

Nessuna data italiana purtroppo, compensata però da un passaggio nella vicina Svizzera, in quel mai troppo lodato club che è il Foce di Lugano. Presenza di pubblico tutto sommato buona, con una mescolanza di giovanissimi (tanti, per fortuna) e più maturi ascoltatori, che testimonia la trasversalità della proposta. Formazione a cinque, con Hanson e Burrows accompagnati dall’altro membro fondatore, il bassista Lee Landley, dalla seconda chitarra di Robert Cody e dalle tastiere di Sofia Arreguin.

Dal vivo i Wand potrebbero sembrare una sorta di sintesi tra alcuni degli artisti citati all’inizio: gli manca la folle varietà di un Segall o l’ipnosi krauta degli Oh Sees, ma dimostrano un più marcato profilo sixties psych pop, che non mancano d’innervare con tonnellate di distorsione, con improvvisazioni strumentali che li portano ad espandere i pezzi in tirate lisergiche a tratti convulse, a tratti ipnotiche e sognanti. La parte del mattatore la fa ovviamente Hanson, intanto con le sue melodie barrettiane, costantemente attestate su reminiscenze retrò, ma soprattutto con la sua chitarra elettrica, da cui fa fuoriuscire riff, assoli, spasmi rumoristi, traiettorie sonore che gli altri sono bravi a seguire.

Non sono infatti da meno gli altri musicisti, con particolare menzione per una sezione ritmica potentissima, ma non priva di finezze, mentre la chitarra di Cody funge più che altro da supporto ritmico e texturale e la Arreguin (anche ai backing vocals) colora il tutto con le sue tastiere. Per un’ora e mezza circa, Hanson ripercorre il suo repertorio strapazzandolo e dilatandolo, seguendo soprattutto l’istinto del momento, tipo quando all’improvviso infila in un pezzo la Bad Moon Rising dei Creedence, lasciando abbastanza di stucco e spiazzati i compagni.

Un bel concerto insomma, che ci ha lasciato con le orecchie fumanti e ronzanti. Eccelsa la qualità dell’impianto audio del Foce. 

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