Anche se nel mondo della musica tante cose sono cambiate – inutile che stia qui ad elencarle, le sapete meglio di me – almeno una, credo, è rimasta immutata: il potere del passaparola. I Viagra Boys passarono dall’Italia una prima volta nel 2019, in piccoli club come l’Ohibò di Milano o il Freakout di Bologna. La volta dopo, tre date in club decisamente più grossi, tutte e tre sold out. Stavolta, a Milano, sono passati dal Fabrique, probabilmente triplicando gli spettatori di un anno fa.
Cosa è successo nel frattempo? Beh, è uscito il nuovo e ottimo Cave World, ma non è che sia un disco che ha venduto milioni di copie o ha fatto sfracelli sulle piattaforme di streaming, comunque non più di tantissimi altri album d’area indie usciti durante l’anno. Quello che è davvero cambiato, viene da immaginare, è il fatto che ciascuna persona che c’era la volta prima, stavolta s’è portato dietro qualche amico, con la probabile avvertenza: “Guarda che questi dal vivo spaccano sul serio!”.
Insomma, a precedere un concerto dei Viagra Boys, nello stesso modo col quale avviene anche per altre band contemporanee, mi vengono in mente gli Idles o i King Gizzard & The Lizard Wizard, c’è innanzitutto la loro fama di grandissima live band e una fama del genere è proprio col passaparola tra gli appassionati che te la crei.
Atmosfera elettrizzante quindi al Fabrique di Milano e grande partecipazione per quello che di fatto è uno degli ultimi grandi eventi live del 2022 milanese. Ad aprire la serata, come l’ultima volta, un trio di ragazze, che salgono un po’ in ritardo sul palco per permettere alla gente di arrivare. Durante il giorno a Milano ha nevischiato, rendendo il già caotico traffico cittadino ancora più ingolfato.
Se però l’altra volta il post punk basico delle californiane Automatic s’era rivelato piuttosto interessante, non proprio lo stesso si può dire delle svedesi Vulkano, l’opening act di stasera. Pur con tutta la benevolenza possibile, che mi sento tranquillamente d’accordargli, non si possono proprio dire grandi meraviglie delle canzoncine scollacciate e cantate con vocina infantile delle tre. Sicuramente molto naif, indubbiamente simpatiche, nella loro incredibile semplicità, le loro canzoni un pizzico divertono anche, ma davvero non molto di più. Per rubare una definizione a un amico che, sia pur cattivella, può rendere bene l’idea: “Canzoni talmente brutte da sfiorare il sublime!”. Come dirlo meglio?
La sgangheratezza delle simpatiche Vulkano, comunque, ben si accorda alla tutt’altro che seriosa attitudine dei Viagra Boys e in fondo crea già il mood giusto per l’arrivo sul palco di Sebastian Murphy e compagni. Come dicevo la volta scorsa, faranno anche la parte (o magari sono) dei cialtroni, dei teppisti dissoluti, dei fattoni o degli ubriaconi, ma i Viagra Boys la suonano e la cantano come pochissimi altri in giro.
Al netto dell’immagine – Murphy ovviamente con occhiali da sole e pancione da birra in vista, Elias Jungqvist alla tastiera con cappello da cowboy e Oscar Carls al sax con degli short al confine della decenza – sono una band potentissima, tecnicamente stratosferica, mai ligia alle versioni in studio, ma sempre pronta a far vedere che dischi ed esibizioni live sono due cose diverse. Il ché, unito alle doti canore di un Murphy che per chi scrive rimane una spanna sopra rispetto a tutti i vocalist d’area post punk contemporanei, fa non poco la differenza.
Oltre a questo (e alle canzoni, ovviamente), poi, c’è tutta la parte di spettacolo che rende la faccenda particolarmente divertente, a partire dal caos che a volte pare prendere il sopravvento, senza che però accada mai, alle impagabili e, grazie a Dio, irrispettose presentazioni di Murphy, dai ringraziamenti ad Angelo Poretti, nome letto sulla bottiglia di birra che tiene in mano mentre lo dice, fino a racconti assurdi e ridanciani del tipo quello fatto prima di una devastante versione di Sport, parabola satirica e non propriamente politicamente corretta sulle varie fasi della sua vita (non me la sento di riportare qui tutto il racconto, ma meriterebbe).
Sono un pezzo in scaletta da Welfare Jazz, l’ottima Ain’t Nice, mentre ampio spazio è stato dato ai brani dell’ultimo album che, in effetti, con il loro passo danzereccio e ritmato perfettamente servono uno spettacolo dal vivo come questo, e adeguati i recuperi da Street Worms, tra i quali l’ormai classica, iper dilatata e folle Shrimp Shack, con la quale chiudono in puro delirio il set principale.
È l’ultima data del tour questa, però, e quindi la festa continua anche nei bis, con Return To Monke, Worms e l’irresistibile Research Chemicals che si dilunga accogliendo sul palco anche le tre Vulkano a far casino, portando al culmine una serata spassosissima e di grande musica.