La prima volta che l’ho visto suonare, a Milano, non era ancora un nome noto. Eravamo nella metà degli anni ’70, non aveva ancora inciso alcun album e suonò in una iniziativa sociale in cui erano presenti, vado a memoria, anche gli Stormy Six. Era un nome che avevo sentito circolare in città e in tanti lodavano il suo impeto di armonicista blues, la sua passione per una musica profonda, sincera, vitale nonché per la sua capacità empatica. Quando lo vidi all’opera, nella mia sincera ignoranza musicale rispetto al blues, mi accorsi che Fabio Treves non era un musicista “qualunque”.
La sua è stata una carriera dedicata alla diffusione del blues, senza spocchia né presunzione ma con l’umiltà e la semplicità che rendono il blues un genere vero, vicino ai desideri e alle sofferenze delle persone. Perché è proprio in questo crogiuolo che gli alchimisti della povertà, del dolore e della speranza hanno distillato questo stile musicale da cui, in seguito, tanti altri generi hanno germinato e si sono diffusi. Molti gli album pubblicati, sia in studio che dal vivo e innumerevoli le partecipazioni di Treves a incisioni di altri artisti che, laddove ritenevano che in un brano fosse necessario il suono di un’armonica, sapevano quale numero di telefono comporre. Al termine del cinquantenario, quindi, ci è sembrato importante proporre un’intervista al fondatore e leader della Treves Blues Band.
Ero presente al concerto per i 40 anni della Treves Blues Band con un grande sold out al Teatro Mahler di Milano. Sono volati dieci anni… Com’è andata nel cinquantesimo?
La TREVES BLUES BAND ha festeggiato nel 2024 i suoi 50 anni di ininterrotta carriera in tour incontrando i suoi fans e celebrando questo meraviglioso traguardo continuando a trasmettere il suo blues viscerale e fortemente emotivo. È stata l’occasione per fare quello che la TBB ha sempre fatto: regalare buone vibrazioni a base di Blues, passione e amicizia. In questo viaggio sono stato accompagnato dalla storica formazione che vede il talentuoso Alex “Kid” Gariazzo alle chitarre, voce, mandolino, ukulele, il granitico Gabriele “Gab” Dellepiane al basso e l’eclettico Massimo Serra alla batteria. In particolare mi sono commosso nella data milanese del 6 Luglio, al Castello Sforzesco. Tanto feeling sul palco e tra il pubblico in quella osmosi che ha caratterizzato i nostri decenni on the road.
Da mezzo secolo sei il leader della Treves Blues Band e mantieni alto il vessillo del blues. Oggi qual è il tipo di pubblico che segue questo genere musicale?
Si tratta di un pubblico di età diverse ma accomunato dalla voglia di passare una serata piacevole e particolare ascoltando una musica vera, fatta di sfumature che riflettono la passione dei musicisti sul palco. Dopo ogni nostro concerto molti giovani si dichiarano entusiasti del loro incontro con il nostro blues.
E il blues, per te, che cosa ha rappresentato e, tutt’ora, rappresenta?
Il blues per me è una musica basata sulla libertà di pensiero e su valori importanti che non si sono mai persi nelle mode e nel “business discografico”!
Chi ti segue ed apprezza la musica che proponi con la TBB ti vuole anche bene come persona. Che cosa, a tuo avviso, colgono nel tuo proporti sul palco?
Credo che capiscano che sono una persona vera oltre ad essere un musicista coerente da sempre e sinceramente innamorato del Blues.
È noto che sei stato uno dei pochi musicisti che ha avuto la possibilità di salire su un palco “occupato” da Frank Zappa (probabilmente l’unico italiano). Che cosa ricordi dell’incontro con quel genio musicale?
Sì è vero, sono l’unico musicista italiano ad aver suonato due volte con il “genio di Baltimora”. Potrei parlare a lungo di cosa ho provato incontrandolo e conoscendolo. Posso dirti che le cose che più mi hanno colpito sono state la sua grande cultura musicale ed artistica, la sua pignoleria professionale e il suo sorriso disarmante!
Tuo padre (Gaddo Treves importante psichiatra e anche attore) era un profondo appassionato e conoscitore di musica. Come prese la scelta di un figlio che voleva cimentarsi con le dodici battute del blues?
Purtroppo, mio padre se n’è andato presto, nel 1972, e non ha potuto assistere alla nascita della TBB e alla mia carriera lunga 50 anni… Sicuramente avrebbe gioito insieme a me delle tante belle situazioni che ho vissuto intensamente e dell’amore che ho ricevuto e ricevo dal pubblico.
Cinquant’anni di carriera con una band sono davvero tanti. Questo ha comportato anche una miriade di concerti in tutto il Paese. Come hai visto cambiare l’Italia guardandola dal palco?
La TBB ha superato in mezzo secolo di vita cambiamenti epocali di mode e costumi, sorretta da un instancabile desiderio di far conoscere la bellezza e l’unicità della musica Blues. Anche nel nostro settore abbiamo visto intorno a noi generi musicali che si alternavano o che finivano in poco tempo. Ma, qualunque fosse la realtà intorno a me, la voglia di fare una musica vera, suonata e portata avanti con rispetto, non mi è mai passata.
“Blues alle masse” è il tuo motto. Ma le “masse” come hanno accolto questa tua esortazione?
Direi che l’hanno accolta alla grande, considerando che oggi esistono decine di seguitissime rassegne e festival blues sparsi su tutto il territorio nazionale, spesso nati anche dopo un concerto della TBB… E direi che hanno accolto alla grande il mio motto, anche considerando la molteplicità di tipologie, di generi, di età, di cui è formato il pubblico della TBB.
La TBB è presente nell’album di Mike Bloomfield del 1980 “Live in Italy”. Cosa ricordi di quell’esperienza con uno dei più grandi e sfortunati chitarristi del rock blues?
L’incontro con il caro Mike è una delle cose più belle che mi siano capitate in questi 50 anni, e uno dei ricordi più commoventi. Era una persona deliziosa, colta, sincera. È stato il musicista bianco più amato dalla comunità nera dei bluesmen americani e fu molto importante nell’opera di divulgazione del buon Blues. Il suo abbraccio sul palco mi ha commosso e mi ha fatto sentire che eravamo fratelli nel Blues.
La tua carriera è stata anche d’appoggio per chi era/è in difficoltà e sono noti i tuoi concerti a sostegno di qualche buona causa. Che cosa hai “imparato” da quelle esperienze?
Mi hanno reso più forte. Mi hanno aiutato a capire quanto siamo fortunati ad avere uno strumento culturale come la musica per raggiungere un mondo parallelo che spesso non si conosce o che forse non si vuole conoscere. Di queste esperienze ho ricordi davvero belli, che mi hanno arricchito lo spirito e che non dimenticherò mai.
Hai appena concluso una serie di concerti che hanno visto sul palco il mitico Lou Marini della “Blues Brothers Band”. C’è qualcosa che ti ha colpito di questo blasonato musicista?
Ero emozionato ad avere sul palco un musicista che fa parte della leggenda “Blues Brothers”. Non mi ricordo neanche quante volte ho visto quel film, praticamente lo so a memoria. Avere Lou Marini sul palco a suonare con la TBB mi sembrava un sogno. Devo dire che è stato un bell’incontro: lui era molto tranquillo e gentile, non ha fatto la superstar sul palco, si comportava con molta semplicità. Come dico spesso io, quelli bravi non hanno assolutamente bisogno di tirarsela, che si chiamino Lou Marini, Billy Gibbons o Robben Ford!
Quando sei sul palco riesci sempre, con le tue battute e con il tuo prendere/prenderti in giro, a creare un clima fortemente famigliare con i musicisti e con il pubblico e si percepisce il tuo desiderio di generare serenità con la musica. È così?
Si è così; mi piace pensare che, quando suono con la TBB, la nostra musica, i nostri gesti, le nostre parole regalino emozioni ma anche energia positiva. Mi piace pensare che finito il concerto il mio pubblico torni a casa sorridendo. Per me è una soddisfazione ed un risultato importante.
Hai qualcosa da recriminare rispetto a quello che non sei riuscito a ottenere con la tua carriera?
Credo di essere tra i pochissimi a non avere recriminazioni di alcun tipo. Il tempo mi ha dato ragione, amavo il blues e volevo suonarlo e farlo amare, ci sono riuscito, tutto qui. Ho raccolto a piene mani quello che ho seminato con fatica, cocciutaggine e passione.
E di cosa, invece, sei profondamente orgoglioso?
Di essere uno spirito musicale libero! Lo spirito libero del Blues.
Salutando “il puma di Lambrate”, mi viene da pensare al fatto che dal tempo in cui Treves, come molti suoi coetanei, iniziò la sua carriera, il mondo è cambiato in svariati modi (basti solo pensare alla tipologia di comunicazione odierna) ma, certamente, per lui non è mutato il modo d’essere on stage, la passione di generare le note del blues, l’essere gentile e felice sul palco con l’aspettativa che questa sua modalità d’essere, insieme alla band, prenda il volo per arrivare a tutti gli spettatori presenti ai concerti della Treves Blues Band.