TURIN BRAKES
Lost Property
Cooking Vinyl
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Avevo talmente tanto perso di vista i Turin Brakes che, quando mi sono visto recapitare questo loro nuovo album, il settimo della loro discografia, la prima reazione è stata di sorpresa, qualcosa tipo: “Ah, ma sono ancora in giro?”. Colpa mia evidentemente, visto che la band londinese guidata da Olly Knights e Gale Paridjanian – e oggi completata da Rob Allum e Eddie Myer – non è in realtà mai stata assente dalle scene molto a lungo, continuando anzi a pubblicare dischi con una puntualissima scadenza di due, massimo tre anni tra l’uno e l’altro.
Confessatovi, quindi, il fatto che non saprei dire in che modo, qualitativamente parlando, Lost Property si collochi all’interno della loro discografia, andiamo ad analizzarne i contenuti per quelli che sono. I tempi in cui i Turin Brakes erano tra le band più coccolate da stampa e pubblico – nome di punta, coi Kings Of Convenience, di quello che venne definito “New Acoustic Movement” – sono decisamente passati, ma nella realtà è facile constatare quanto ancora siano capaci di mettere assieme una piacevole collezione di canzoni pop-rock dalle trame elettroacustiche, molto classiche e melodiche nella scrittura, immediatamente fruibili e accarezzate dalle sempre dolci armonie di Knights.
Se un difetto hanno queste canzoni, è quello di non essere sempre veramente personali, col rischio di posizionare i loro autori come una delle tante, generiche band del panorama pop britannico. In Lost Property, comunque, i Turin Brakes cercano di imprimere una certa varietà ai vari brani, nel tentativo, tutto sommato dignitoso, di dare alla scaletta vitalità e un pizzico d’eclettismo. E se pure, come dicevamo, non si possono definire originalissime, canzoni come 96, con le sue serrate chitarre elettriche; Brighter Than The Dark, col suo senso del dramma e una tensione ottenuta con una serie di partenze e rilasci, nonché con un ottimo uso degli archi; l’intimamente folk Martini; la psichedelica e riuscitissima Hope We Make It e la malinconia a là Radiohead privati d’ogni ansia sperimentale di Black Rabbit, sono fulgidi esempi di quello che Knights e Paridjanian sono in grado di mettere in campo.
Il resto – classicissime pop songs come Keep Me Around o la banalotta Jump Start; l’enfatico gospel, che pare fare il verso a Hozier, di Save You; le inflessioni eighties di Rome; una romanticissima ballata quale la title-track; una The Quiet Ones che potrebbe venir fuori da un qualsiasi disco di new folk – può essere anche piacevole, ma tutto sommato permeato di una medietà che sarebbe scorretto non sottolineare. Per chi si accontenta…
Il disco esce il 29 gennaio.