Foto © Lino Brunetti

In Concert

Thurston Moore Band live a Milano, 1/4/2023

È sempre un piacere ritrovare dal vivo Thurston Moore, un po’ perché sai già cha ti troverai di fronte ad alta qualità musicale; un po’ perché l’eterno giovane, ex Sonic Youth, è una delle persone più a modo dell’intero music business, un vero gentiluomo, tanto che quasi ti sembra di andare a un appuntamento con un amico anziché a un concerto; infine perché stavolta ha deciso di girare con la sua band per venue dalla capienza limitata, piccoli club dove mantenere intimità e contatto ravvicinato col pubblico.

A Milano la scelta è caduta sull’Arci Bellezza e, quasi inutile sottolinearlo, la data è ovviamente andata presto sold out, per lo scorno di chi sarebbe voluto venire ed è rimasto fuori e il piacere di chi invece si è goduto il concerto in una sala decisamente a misura d’uomo.

In apertura, Seafoam Walls, sulla carta un quartetto proveniente da Miami, in Florida, ma nei fatti, stasera, il solo cantante e chitarrista Jayan Bertrand, che tutto impellicciato si è presentato sul palco in solitaria. Difficile farsi un’idea precisa della musica della band in questa versione solo voce e chitarra: si avverte la prossimità con la black music (soul, jazz, hip hop e r&b), ma anche la vicinanza con quello che potremmo definire indie rock. Sicuramente Moore crede in lui, visto che sul finire del 2021 gli ha pubblicato l’album XVI sulla Daydream Library Series, divisione della sua Ecstatic Peace Library, disco interessante, sia pur non sconvolgente, che comunque merita l’ascolto.

L’ultima volta che m’era capitato di vedere il buon Thurston era stato nel 2017, alla festa di Radio Onda d’Urto a Brescia. Con quello che è successo nel mezzo, praticamente una vita fa. Nel frattempo, lui, a parte i suoi mille album in collaborazione con altri o le cose più sperimentali, ha pubblicato uno dei suoi migliori dischi solisti, l’ottimo By The Fire, per certi versi il più sonicyouthiano, sia pur con tutti i distinguo, e chiaramente ossatura portante dello show di stasera.

Con lui, tolto Steve Shelley, a breve in Italia a seguito di Emma Tricca, gli stessi musicisti del disco, ovvero Deb Googe dei My Bloody Valentine alla chitarra basso, il chitarrista James Sedwards, Jem Doulton alla batteria e Jon Leidecker dei Negativland ai synth. Una super band come si può vedere, che in effetti non ha mancato di mostrare meraviglie.

L’attacco è con un pezzo nuovo, Hypnogram, una lunga ballata narcotica appena pubblicata in digitale su Bandcamp, che alle pigre parti cantate alterna lunghi momenti strumentali che scivolano in una psichedelia avvolgente e sognante. Dopodiché, come si diceva, si entra nei territori di By The Fire, con pezzi che si profilano tutti molto lunghi, tinitinnanti e minimali, con crescendo chitarristici che vanno a lambire il noise e che, se ricordano i Sonic Youth, lo fanno però con una più matura, se non forse pacificata maniera, senza più le velenose intemperanze di un tempo.

Ma alla fine ci sta, perché brani come Hashish, Siren e Venus hanno comunque il piglio metropolitano e tagliente di rock minimalisti, capaci ancora di visualizzare i bassifondi ombrosi di una città come New York (per quanto il sospetto è che pure questa non sia nient’altro che una proiezione romantica). La cosa diventa evidente quando tirano fuori dal paniere una sferragliante cover di Temptation Inside Your Heart dei Velvet Underground, presentata da Moore con un semplice “Lou Reed, 1969”, oppure con le infinite Cantaloupe e Speak To The Wild, quest’ultima l’unica concessione a un disco precedente, ovvero The Best Day.

Il suono è in larga parte basato sull’intrecciarsi delle chitarre del leader e del bravo James Sedwards, un chitarrista con un piglio moderatamente più classico, come dimostrato da alcuni assoli più canonici, addirittura infuocati, cosa messa in evidenza, ad esempio, dalla conclusiva Locomotives, suonata nel bis dopo una, devo dire inattesa, leggermente in anticipo sul triste anniversario, All Apologies dei Nirvana, cantata da Bertrand ospite sul palco. Fondamentale però anche l’insistenza ipnotica messa in campo dalla sezione ritmica – con Googe di fatto nel ruolo di chitarrista ritmica aggiunta, con la sua chitarra baritono – e le textures elettroniche di Leidecker, a rendere il tutto ancora più pieno e stordente.

In tutto, quasi due ore di show di grande classe, che magari non cambieranno più la vita a nessuno, ma che dimostrano chiaramente che Thurston Moore e la sua musica sono ancora in grado di portarti via in un mondo a parte.

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