La Francia ama i Velvet Underground, i Velvet Underground hanno amato Parigi. Già nel 1990 la Fondazione Cartier organizzò a Jouy-en-Josas, periferia della città, un’esposizione sui Velvet Underground, “benedetta” da una inaspettata riunione del gruppo, con Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Moe Tucker impegnati a suonare insieme dopo vent’anni Heroin, prologo di un tour effettuato nel 1992 e velocemente conclusosi dopo qualche data a causa dei mai sopiti dissapori tra Cale e Reed.
Ma Parigi non si è dimenticata di loro e a nemmeno tre anni dalla scomparsa di Lou Reed mette in scena una splendida e coinvolgente esposizione sull’avventura artistica di una band tra le più importanti dell’intera storia musicale e artistica dello scorso secolo. Intitolata The Velvet Underground-New York Extravaganza ed ubicata nel nuovo avveniristico padiglione della Philarmonie de Paris, opera dell’architetto Jean Nouvel, dentro l’ampio spazio della Citè de la Musique di Port de la Villette, l’esposizione (in cartellone fino al 21 agosto) è stata preceduta dall’esibizione il 2 aprile dei Television e dalla performance, il 3 aprile, di John Cale che, con alcuni musicisti, ha interpretato l’intero album della Banana.
L’esposizione è organizzata e allestita come solo i francesi sanno fare in simili occasioni, non si capisce come i nostri “creativi”, a meno che non si tratti di moda, non riescano neanche lontanamente a concepire cose simili, ma tant’è, siamo alla periferia dell’impero e ci rimaniamo. Non si tratta solo di una mostra sui VU perché appena entrati negli spazi dell’esposizione ci si imbatte nelle foto di Dylan, di Phil Ochs, di Martin Luther King, dei poeti della Beat Generation, dei jazzisti be-bop e di tutto quel milieu intellettuale e controculturale che caratterizzò New York all’inizio degli anni sessanta, quando degli artisti dalle idee “perniciose” misero in discussione un’America che si credeva liberale ma per la quale tutta la devianza era pericolo, a meno che non fosse merce di consumo.
Attraverso sei temi principali si percorre New York dai bassifondi della Lower East Side, dai suoi locali fumosi e maleodoranti e dalle sue strade degradate alle stanze grondanti trasgressione e creatività della Factory di Andy Warhol passando dagli albori dei sixties fino all’eredità lasciata dal gruppo di Reed e Cale, con un occhio di riguardo alle personalità che hanno affermato l’originalità e l’unicità artistica della città. Così tra centinaia di fotografie, manifesti d’epoca, testimonianze grafiche e visive, un film di Barbara Rubin, la cineasta che ha introdotto i Velvet a Warhol, i lavori della Film-makers Cinematheque tra cui il regista e poeta lituano Jonas Mekas, una camera oscura con la proiezione di due “artistici” filmati hard-core, una performance di La Monte Young, il compositore con cui Cale lavorò appena giunto nella Grande Mela, ed una passeggiata nella Lower East Side, si arriva ai re della festa, ovvero ai quattro membri dei Velvet, con Nico, il loro illustre mentore Andy Warhol e la sua corte.
Le immagini della Factory sono numerose come quelle del Cafè Bizarre, uno dei luoghi del Greenwich Village dove i VU erano soliti esibirsi. Un documentario di dodici minuti ricapitola l’esordio del gruppo e l’incontro tra Cale e Reed mentre la carriera di Nico è evocata da un film realizzato dalla francese Veronique Jacquinet. L’evoluzione musicale dei VU è ben testimoniata, dalle immagini in movimento e i suoni della performance totale di Exploding Plastic Inevitable alla Factory ai diversi lavori della loro discografia, con tanto di edizioni rare, manifesti promozionali, locandine di concerti, installazioni per ascoltarne i brani e le registrazioni parallele. Dal disco della Banana a White Light White Heat, dal terzo Velvet Underground a Loaded fino all’ultimo innominabile Squeeze attribuibile al solo Doug Youle tutto viene messo in mostra comprese le esibizioni della band al Bataclan nel 1972 e all’Olympia nel 1993.
Singolare e accattivante la costruzione di una grande serra con il tetto costituito da pannelli-schermi dove il pubblico può bearsi delle performance e dei video del gruppo stando sdraiato su comodi materassini, così da fruire in modo avvolgente della musica e dei flash in una sorta di trance sonoro e visivo. Per ultimo un cortometraggio davvero disturbante di Gus Van Sant, The Last Days, che ritrae alcuni ragazzi in un interno, “fatti” dalla musica dei Velvet.
Scenograficamente eccitante ed emotivamente coinvolgente, l’esposizione The Velvet Underground-New York Extravaganza ha il potere di catapultare lo spettatore in un universo scuro ma comunque luminoso nei suoi significati e rimandi artistici, un’opera contemporanea di grande impatto per chi ama i VU, l’arte, l’avanguardia e New York, un vero trip psichedelico in bianco e nero da vivere con lo stesso abbandono con cui si vive la musica dei Velvet. Da vedere.