Dopo 24 anni di assenza dai palchi sono tornati i Rocking Chairs, la band emiliana che negli anni ottanta percorse in Italia le strade di quel rock americano che in quel momento aveva in Bruce Springsteen il suo emblema. Si sciolsero all’alba degli anni novanta, ognuno dei componenti prese una propria via (la storia è raccontata nell’intervista apparsa sul Buscadero dello scorso dicembre), adesso si sono rimessi insieme nella formazione tipo per un Reunion Tour che li ha visti suonare a Casalgrande, a Torino, a Milano, e prossimamente a Concordia Sagittaria e Trieste.
Venerdì 6 marzo sono passati dallo Spazio 89 di Milano ed è stato uno show esaltante, sembrava che il tempo si fosse fermato anche se il grigio non ha risparmiato né le loro barbe e capelli, né il loro pubblico. Ma la grinta non è scemata, anzi, i Rocking Chairs di oggi mostrano di avere l’entusiasmo per sostenere una nuova avventura ed una qualità strumentale che le loro singole esperienze di questi anni non ha fatto altro che migliorare. Sul palco hanno sfoderato sapienza musicale e calore incrociando con tecnica e sentimento il rock n’roll con il soul, il R&B con le ballads, il mainstream 70 con il Jersey Sound, Van Morrison con Memphis, attraverso canzoni ormai diventate dei piccoli classici nell’universo italiano del rock. Uno show vibrante dove il romanticismo delle ballate si è unito alle scudisciate del rock e al soffio caldo del R&B e dove la band, pur tornata in circolo da poco, ha stupito per coesione e amalgama, mai cedendo agli individualismi e ai trucchi gigioneschi.
Robby Pellati, ottimo batterista e Rigo Righetti, bassista, sono una sezione ritmica che tira come un autotreno, Max Marmiroli con sax e flauto spazia tra Clemons e Roland Kirk, Franco Borghi è un tastierista diligente che non si vede ma si sente e Mel Previte un chitarrista sopraffino che non deborda mai, elegante e sintetico che con la sua Gibson SG è in grado di stilizzare una idea di suono che nasce con James Burton e attraversa gli anni 50, il rockabilly e il blues con la folgorazione di chi ha la discografia di Elvis nel comodino. E poi c’è lui il frontman, Graziano Romani, il soulman della Via Emilia che mette tutto se stesso nel microfono, che nel suo caso non è più solo un’asta ma una protuberanza del suo corpo e della sua anima. Teatrale e sanguigno, magnifico quando canta le ballate, dalla commovente Valerie alla vanmorrisoniana Listen To Your Heart alle romantiche Camden Town e I Will Be There Tonight, focoso quando aizza pubblico e band alla festa, intonando i classici del repertorio dei Chairs, da Freedom Rain a No Sad Goodbyes, da una memorabile Sparks of Passion a Lights Across The Border , da Hate & Love Revisited a Lost Freeway.
Da par suo la band non sta a guardare e non concede un attimo di tregua, mai ricorrendo alla spettacolarità ma fondendo feeling e tecnica, attitudine e pronta conoscenza dell’intero panorama musicale americano. Sudore, amore e rock n’roll, per il folto pubblico è stata una gioia trovarli così uniti, determinati, divertiti, rimasti almeno una sera, loro e noi, ad un’era innocente del rock n’roll e della vita, quando i sogni cavalcavano ancora sui solchi di un vinile o nei chilometri macinati per raggiungere un concerto. Inizio dello show più orientato alle ballate e gran finale coi pezzi ad alta gradazione del loro rock stradaiolo, Old Rocker Busted cantato da tutto il teatro, e poi Streetwise e Burning. In mezzo la spremitura di quattro indimenticabili album. Hanno gli strumenti, hanno la voce, hanno le canzoni, alle spalle hanno una storia, sono stati i primi i Rocking Chairs e probabilmente sono ancora i migliori a tradurre la geografia della musica americana su uno stradario italiano. Andate a vederli, sarà una serata che ricorderete.