Foto: Lino Brunetti

In Concert

The Pop Group live a Torino, 7/2/2017

In quel bellissimo libro che è “Post-Punk 1978 – 1984”, quelle dedicate da Simon Reynolds al Pop Group sono forse tra le pagine più belle. Rendono bene l’idea di quel febbrile e rivoluzionario clima culturale che si doveva respirare in Inghilterra, in questo caso a Bristol, nel mondo delle musiche giovanili, all’indomani dell’ondata punk. Mark Stewart e compagni senz’altro vennero sconvolti da gruppi quali Clash e Sex Pistols, ma all’energia e alla ruvidezza del punk seppero aggiungere elementi provenienti dalla loro immensa passione per la musica nera, quindi funk, reggae, dub, free-jazz, poi coagulati in un suono viscerale che tutto metteva in discussione, indirizzato verso la ricerca di un qualcosa di mai sentito prima, che fosse di rottura, ulteriormente accresciuto dai riferimenti culturali dei quali i membri della formazione era imbevuti (la Beat Generation, un certo radicalismo di sinistra, il situazionismo, le teorie di Wilhelm Reich, giusto per dirne qualcuno). Un gruppo insomma che non è esagerato definire seminale, tra i più grandi di sempre.

Da qualche anno, il Pop Group è tornato; dapprima solo dal vivo, poi attraverso ristampe, antologie, un paio di più che buoni dischi nuovi. Ovvio pensare alle tre date previste per l’Italia, come appuntamenti assolutamenti imperdibili, pertanto. L’esordio ieri sera a Torino, in una Spazio 211 non pienissimo, specie considerati i musicisti in campo, ma fortunatamente neppure disertato. Del resto, la musica del Pop Group è ancora oggi una bella botta, un qualcosa di non così facilmente assorbibile da qualsiasi orecchio.

Consumata l’apertura degli interessanti e tribalistici SabaSaba, Mark Stewart, Gareth Sager e Bruce Smith (tutti membri storici della formazione), salgono sul palco accompagnati da un nettamente più giovane chitarrista, qui intento a far le veci del bassista Dan Catsis, assente. Stewart è un omone che quasi incute timore, dalla presenza magnetica e dallo sguardo ancora oggi spiritato. Sager è l’alchimista musicale, capace di fendere l’aria con gli aculei della sua chitarra elettrica, di immettere elementi alieni tramite tastiere ed electronics, di farsi virulento quanto prende in mano il sax. Dietro di loro, come è ovvio che sia, la sezione ritmica è una macchina inarrestabile, un motore che macina groove e che incornicia tutto con potenza.

La scaletta è formata da un giusto mix di cose vecchie e nuove, né troppo passatista (la qual cosa avrebbe dato l’impressione di avere a che fare con la solita compagine di reduci), né timorosa però di riprendere in mano con orgoglio i propri classici. Tra le nuove canzoni, si sono fatte onore Citizen Zombie, un’allucinata Shadow Child, le recentissime Pure Ones, Zipperface, una Days Like These dedicata ai Lay Llamas, definiti una delle più grandi band italiane.

È ovvio però che quando vengono eseguiti pezzi come Thief Of Fire, con la quale hanno aperto, Words Disobey Me o una straordinaria She Is Beyond Good And Evil (tutte dal mitico esordio Y), oppure quando eseguono una sempre violenta e attualissima We Are All Prostitutes, la temperatura si fa ben più incandescente, con Stewart intento a dare ancor più sfogo alla sua isteria vocale e alla sua impagabile mimica facciale. Cosa che succede anche nei due bis, dapprima con Where There Is A Will, infine con una devastante e lunghissima We Are Time, vera apoteosi di tutto il concerto. Stasera sono a Ravenna e domani a Milano, non perdeteveli! Grande, grandissimo Pop Group!

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