THE LONE BELLOW
Then Came The Morning
Descendant Records
***½
Quando, nel gennaio del 2013, uscì il primo album dei Lone Bellow, ci trovammo di fronte ad un disco decisamente sorprendente. Un album di classico rock melodico con influenze southern, gospel ed Americana. Un disco bello ed inatteso in quanto non si sapeva nulla di questa band. Capitanata da Zach Williams, la band era un trio a cui poi si sono aggiunti alcuni turnisti: oltre a Williams gli altri due membri erano (e sono tutt’ora) Brian Elmquist e Kanene Donehey Pipkin.
Il disco d’esordio, The Lone Bellow, ha ricevuto il plauso della critica ed ha avuto vendite soddisfacenti. A due anni di distanza ecco il nuovo lavoro, questa volta prodotto da un professionista, Aaron Dressner, membro dei National. Il suono non è diverso dal disco d’esordio, quasi che Zach Williams, malgrado la giovane età e la poca esperienza (ma sarà poi vero?), è già un consumato singer songwriter. Ma, una volta ascoltato il nuovo lavoro, tutto fa propendere per questa affermazione in quanto Then Came The Morning ha un suono maturo, canzoni ben costruite, una confezione decisamente professionale (un po’ lo si deve anche alla produzione attenta di Dressner). La melodia, densa e di derivazione classica, dal gospel a vari elementi southern, è calda e coinvolgente e fa da base a gran parte delle canzoni: rispetto al disco d’esordio abbiamo una ricerca più accurata sugli strumenti usati e qualche analogia compositiva con le ballate di un grande come Van Morrison. Infatti sembra che Williams si sia studiato a fondo alcuni dischi dell’irlandese, sopratutto per quanto riguarda il suono: e la ricchezza sonora di Then Came The Morning è un sintomo chiarificatore.
Apre proprio la canzone che dà il titolo al disco, Then Came The Morning. dove le tre voci dei protagonisti si rincorrono. Williams è il leader, ma Elmquist e la Pipkin stanno giusto dietro a rendere più calda la melodia. Fake Roses, abbellita da una languida steel guitar, è meno soulful ma ugualmente gradevole: la base è più rock, ma la melodia è sempre calda ed avvolgente. Williams ha il tocco, sa scrivere, è dotato di senso melodico come pochi altri e le sue ballate sfiorano spesso la perfezione. Come Diners una canzone di grande spessore dove country e rock si incontrano in modo sorprendente, dando luogo ad una composizione di rara bellezza, basata su perfetti impasti vocali e con una melodia di fondo, sopratutto nelle parti a più voci, degna della grande tradizione Americana. Take My Love è calda e pressante, con un ritmo di fondo che la tiene viva, mentre le voci si uniscono nel disperato desiderio di non perdere tutto per mantenere un amore difficile. Le parti vocali, corali e molto ricche, sono uno degli assi nella manica dei Lone Bellow. Call To War è fluida e discorsiva: non ha l’incidere travolgente di Take My Love, ma si lascia seguire grazie all’appassionata vocalità della Pipkin. Watch Over Us ha un intro molto sottotono, appena accennato, quasi in punta di piedi, sino a che Zach Williams non ne prende possesso: allora la canzone si apre ma rimane in un ambito acustico. Telluride, la rarefatta To The Woods, la folk Cold As It Is e la finale I Let You God portano a termine un disco intenso, ben costruito e decisamente coinvolgente.
Un disco in cui la melodia la fa da padrone, grazie anche ad una serie di canzoni di indubbio spessore. Zach Williams ed i Lone Bellow sono ormai una realtà della nuova scena Usa anche se il loro sound non è facilmente etichettabile. Americana? Sì, ma con influenze di vario genere che rendono la proposta più convincente.