THE LEMONHEADS
VARSHONS II
FIRE RECORDS
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Ci fu un periodo, negli anni 90, in cui pareva che Evan Dando dovesse diventare una super star. Anzi, per un certo periodo, di certo lo fu, quando coi suoi Lemonheads pubblicò il celeberrimo It’s A Shame About Ray e la cover di Mrs. Robinson, lavori che lo spedirono alle vette delle classifiche e lo trasformarono pure in personaggio da tabloid, con la stampa attaccataglisi addosso per il suo indubbio bell’aspetto e per il gossip che fiorì attorno alla sua vita privata (la presunta relazione con Juliana Hatfield, ad esempio), dimenticando un po’ il suo più grande merito, quello di essere un grande autore di canzoni.
Il suo costante rapporto con le droghe, probabilmente una certa instabilità emotiva, presto lo avrebbero fatto scivolare tra le promesse non mantenute, cosa avvenuta anche per via del diradarsi delle uscite e per l’estemporaneità di certi suoi lavori. Dopo una lunga assenza dalla musica tra il 1996 e il 2001 e dopo aver tentato la carriera solista (una formalità, visto che in fondo già i dischi dei Lemonheads erano a lui imputabili principalmente) tramite un solo, ottimo album, Baby I’m Bored del 2003, nel 2006 rispolverava la sua sigla più nota e pubblicava un omonimo album del ritorno a cui però, fino a tutt’oggi, non ha più dato un vero seguito.
Certo, sono circolate antologie e dischi live, ci sono state delle ristampe e, nel 2009, è uscito Varshons, un disco di cover a dir poco eclettico, ma una raccolta di canzoni nuove è ancora di là da venire. Il nome Lemonheads riappare sulla copertina di un disco oggi, dieci anni dopo l’ultima volta, ma, come è facile intuire dal titolo, Varshons II, è nuovamente di un disco di cover che si tratta.
Difficile parlare male di un album che allinea belle versioni di pezzi di autori quali Yo La Tengo (Can’t Forget), The Jayhawks (Settled Down Like Rain), The Bevis Frond (Old Man Blank), Paul Westerberg (Things), John Prine (Speed Of The Sound Of Loneliness), Lucinda Williams (Abandoned) o Nick Cave (Straight To You), ma allo stesso tempo è difficile vederci un reale attestato di buona salute artistica. Evan Dando le cover le ha sempre fatte (bene), ma era il suo songwriting a renderlo autenticamente speciale.
Qui mostra ancora l’attitudine eclettica nel saper passare dal pop sbarazzino di Now And Then (Natural Child), alla punkettosa TAQN (The Eyes), dal reggae di Unfamiliar (The GiveGoods) a un classico quale Take It Easy (ovviamente The Eagles), ma al di là del piacere di ritrovare salda la sua voce, questo non è, per forza di cose, un album che aggiunge chi sa che a quanto già sapevamo. Di certo è un ascolto gradevole e ha l’effetto collaterale di alimentare la speranza che possa trattarsi di un timido riaffacciarsi sulle scene, prima di tornare con un disco di canzoni nuove. Intanto, sono imminenti nuovi concerti a loro nome, anche in Italia.