Foto: Lino Brunetti

In Concert

The Lemon Twigs live a Milano, 27/6/2017

Quando sul finire dell’anno scorso è uscito il disco d’esordio dei Lemon Twigs, la girandola di nomi fatta nel tentativo di raccontarne la musica è stata a dir poco impressionante. Volendo qui provare a raggrupparne qualcuno, verrebbero fuori quelli di Elton John, Todd Rundgren, Beach Boys, Beatles, Queen, The Kinks, Sparks, Steely Dan, Tom Petty (il primissimo), Lou Reed (quello d’era glam), David Bowie, Wings, Big Star, Pink Floyd e via discorrendo. Un’affastellarsi di riferimenti che ci dicono principalmente due cose: la prima è che la band guarda indiscutibilmente al passato, agli anni ’70 principalmente, per mettere a punto la propria musica; la seconda è che molti dei suoi riferimenti, tolti i soliti, eterni santini ineludibili, sono dei nomi assolutamente uncool, sfiorati appena persino dai molti revival che da vent’anni costituiscono il modo attraverso cui la popular music ormai fa mostra di sé.

In fondo non ci sarebbe nulla di strano, non fosse che Brian e Michael D’Addario, i due fratelli multistrumentisti che si celano dietro questa sigla, al momento della pubblicazione dell’album avevano rispettivamente 19 e 17 anni, e che il disco dimostra un’abilità di scrittura e d’arrangiamento assolutamente eccezionale, un tourbillion di melodie e suoni tale da farmi dimenticare completamente che parte dei nomi citati là sopra sono quelli di musicisti che per costringermi ad ascoltarli dovreste puntarmi un fucile addosso.

È stato giustamente accolto con favore ed entusiasmo Do Hollywood, un esordio come si diceva brillante e quasi impossibile da ignorare, prodotto con perizia da Jonathan Rado dei Foxygen, non a caso quasi l’unica band contemporanea accostabile ai ramoscelli di limone. Glam, power-pop, un pizzico di psichedelia e qualche scampolo di prog, il tutto inscatolato in 10 canzoni dinamiche e luccicanti.

Viste tutte le premesse fatte finora, grande era dunque la curiosità di testare la loro tenuta live, il vero banco di prova per qualsiasi rock band che si rispetti. Accompagnati da un ottimo tastierista (in un pezzo anche batterista e spesso alle armonizzazioni vocali) e da una bassista precisa, ma non esattamente dalla verve scoppiettante, i due fratellini si sono divisi equamente lo show, con Brian alla chitarra e alla voce principale nella prima metà (mentre Michael dietro ai tamburi dava vita ad un mix di Keith Moon e Ringo Starr), e ruoli ribaltati invece nella seconda.

Incredibile a dirsi, i pezzi dell’album non perdono un grammo della loro efficacia in sede live, assumono anzi un’ancor più rockistica potenza. I due sono strumentisti eccezionali e dimostrano di sapere assai bene quello che fanno, con una consapevolezza incredibile vista la giovanissima età. Non so quanto in questo c’entri il padre Ronnie D’Addario, un misconosciuto cantautore pop, il cui unico momento di fama fu l’essere autore di Falling For Love dei Carpenters, ma immagino non poco. L’equilibrio fra i due fratelli è a dir poco perfetto, con Brian un po’ più posato, cantante e chitarrista eccelso, mentre Michael è risultato essere più animale da palco, con le sue continue sforbiciate, le pose glam e un più ruvido approccio sia vocale che strumentale (come detto una bomba alla batteria, soprattutto).

In scaletta, oltre ai pezzi dell’album e del loro EP, una cover di Jonathan Richman (un pezzo semplicemente divertentissimo da suonare, hanno detto) e la countryeggiante Fish And Whistle di John Prine, giusto per non farsi mancare nulla. Show fresco, esaltante e davvero spassoso. A vederli stasera eravamo forse 200 persone, ma qualcosa mi dice che dei Lemon Twigs sentiremo parlare a lungo. La prossima volta, cercate di non mancare!

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