Tornano in Italia, per l’unica data prevista, i The Last Internationale, il duo di casa a New York che scalda a fiamma alta il rock di quando papà e mamma erano giovani, e allo stesso modo urla la protesta.
In apertura due interessanti progetti musicali, il primo tutto italiano, i Roommates, alternative rock band dell’estremo ponente ligure attiva dal 2012 e con un curriculum di tutto rispetto nei Festival più prestigiosi in terra natale, mentre il secondo, in tour per gran parte dellle date assieme alla band della Grande Mela, i Taipei Houston, esplosivo power duo formato da Myles e Layne Ulrich, i figli del celebre batterista dei Metallica, che hanno pubblicato il loro album di debutto Once Bit Never Bored lo scorso anno e alla fine di questo mese suoneranno in apertura ai Foo Fighters a Gilford, NH.
A riempire un Legend eccitato con uno spettacolo dal vivo intriso di sudore ed energia, senza alcun timore di sprecare musica e argomenti, ci pensano la carismatica figura di Delila Paz, con la sua voce seducente che invia cenni confidenti a icone femminili come Janis Joplin e Grace Slick, e l’esuberante chitarrista Edgey Pires, che di professione fa il torturatore di Fender e Les Paul, assieme a una giovane quanto dinamica e potente sezione ritmica. Le tre formazioni radunano un pubblico di due generazioni sotto la bandiera di un debordante rock and roll, mostrando che esiste ancora margine per l’espressione di una certa idea di musica difficile a morire.
The Last Internationale, per colpire subito nel segno come soliti son fare, regalano un’apertura in diffusione con le parole di Gil Scott Heron e la sua The Revolution Will Not Be Televised, popolare fra i movimenti black anni 70. Il quartetto newyorkese continuerà a scaldare il palco con verbi di denuncia e un impetuoso sound, cavalcando il loro repertorio da canzoni come Killing Fields, 1968 e i tamburi martellanti di Life Liberty & The Pursuit of Indian Blood, avvolte in un romanticismo rosso tratto da un passato non così lontano, sino alle nuovissime Hoka Hey, 1984 e Hero, tratte dall’ultimo lavoro Running For A Dream, dalle sonorità mielate e aspre al tempo stesso.
Delila Paz trascina il pubblico in uno spettacolo nello spettacolo, passando dalle tastiere al basso e lasciandosi portare in alto dalle mani del suo pubblico, o sedendo in mezzo a loro fra slogan politici, ammonimenti e raccomandazioni, in un rapporto di fiducia e di rispetto quasi incredibile, per finire tutti assieme su quel palco che da bollente oramai era infuocato.
Una forte fede nella tradizione folk americana (se ci limitiamo alle intenzioni), con influenze di grandi come Woody Guthrie e Bob Dylan a risvegliare le coscienze, ma esplodendo portentosi suoni rock alla White Stripes, abbastanza stimolanti da lasciare in sold out le sale da concerto. Che il messaggio dunque arrivi come un diretto al volto, immediato, viscerale, autentico e sincero come è la loro musica, che forse sì calpesta terreni conosciuti, ma viene con l’intensità e l’attitudine di chi ci crede ancora, cosa che pochi oggi sono in grado di “indossare”.