Non una serata per gente facilmente impressionabile quella consumatasi la sera del 17 ottobre all’Arci Bellezza di Milano. Mentre giù nella Palestra suonava Filippo Dallinferno – e avrebbe meritato pure lui – nella sala grande di sopra sfilavano una via l’altro tre esponenti contemporanei di musiche decisamente estreme.
Ad aprire i Bad Breeding, quartetto inglese con già diversi album alle spalle, il cui hardcore fortemente politicizzato ha le radici nella musica anarco punk dei Crass. Il loro quarto album, Contempt, è uscito proprio quest’anno e si scaglia contro le politiche di austerità e le logiche perverse della società iper liberista nella quale ci troviamo a vivere, le quali vanno ovviamente a discapito della maggior parte delle persone, ormai sempre più povere e costrette a vivere in contesti socialmente disgregati, dove anche i rapporti sociali appaiono sempre più difficili. Portano avanti queste istanze a botte di ritmi indiavolati, distorsioni assassine e l’urlo viscerale tipico dell’hardcore. Musicalmente, e lo dico da non grande esperto del genere, m’è sembrato che ci fosse anche una forte influenza Death Metal, riscontrabile soprattutto nei riff e negli assoli a tutta velocità del chitarrista Idris Mirza, indubbiamente non privo di un buon grado tecnico.
Molto più lenti, ma forse proprio questo anche più temibili e impressionanti, gli Uniform da New York. In loro sembra rivivere, riaggiornato in maniera personale, il noise rock fuso all’industrial che in passato ha caratterizzato uno dei sound più iconici della Grande Mela. Loro ci aggiungono ampie porzioni di sludge e metal sperimentale, elemento che alza non poco il tasso di rumore e malattia della proposta. Qui in quartetto, la band guidata da Michael Berdan ha sostanzialmente eseguito per intero, anche se non in ordine, l’ultimo granitico American Standard, risvegliando memorie swansiane attraverso i mastodontici colpi assestati da chitarra, basso e batteria, mentre un allucinato Berdan, illuminato unicamente da una luce ai suoi piedi, effetto semplice ma efficace per dare una dimensione teatrale alla performance, dava sfogo a rabbia e dolore attraverso urla catartiche sputate con virulenza, mettendosi completamente a nudo. Decisamente intensi.
Infine The Body, il duo metal noise sperimentale formato da Chip King e Lee Buford, autore non solo di molti albun in proprio, ma anche di diversi lavori in collaborazione con altri (tra i quali anche gli Uniform, guarda caso). Qui, stasera, era di scena proprio uno dei loro progetti collaborativi, ovvero quello realizzato in tandem con la vocalist e musicista di stanza a Berlino Felicia Chen, in arte Dis Fig. Il loro album congiunto Orchard Of A Futile Heaven è uscito a inizio anno e mette assieme due modi diversi di porsi utilizzando la musica estrema: rumorosissima, alienante e preda del caos più nero quella dei The Body, nettamente più emotivo, sofferto e umano quello di Dis Fig. Con Buford dietro la batteria e King, senza chitarra, alle distorsioni e ai growl, proprio sull’energia e sullo sconvolgente darsi interamente di Chen, si è basata buona parte della forza della performance. Ovvio che la cornice noise creata dai due sia stata ben più che importante, veicolata anche attraverso lunghi intro di feedback ambient noise, ma l’emotività buttata sul pubblico da Dis Fig ha portato il livello d’intensità su un’altro livello. Voce lancinante e davvero notevole, a suo agio anche nelle melodie quando vuole, la ragazza urla in faccia direttamente alle persone in prima fila, prendendogli la testa e guardandoli direttamente negli occhi, s’infila in mezzo al pubblico, pare preda di un tormento e di un’energia interna quasi irrefrenabile. Performance notevole, difficilmente dimenticabile, come un po’ tutta la serata.