Mancavano dall’Italia dal giugno del 2017 i Black Angels, ma se stiamo a guardare al loro ultimo passaggio milanese, dobbiamo andare indietro fino al 2010, tour di Phosphene Dream, al Tunnel. Ok, in questo quindicennio sono passati da Trezzo sull’Adda, in provincia di Bergamo, o in quel di Brescia, entrambi posti facilmente raggiungibili, ma comunque un’assenza di un certo rilievo. In questo, sicuramente c’entra qualcosa anche il Covid, ma sta di fatto che all’uscita dell’ultimo Wilderness Of Mirrors nel 2022, l’Italia non venne inserita nel tour fatto a supporto.
Arriva in soccorso dei fan tricolore, questa data miracolosamente ricavata da All Things Live, prima dell’inizio del tour europeo congiunto che la band texana ha in programma con The Dandy Warhols. Abilità d’intercettarli per una serata speciale o colpo di fortuna, poco importa, perché così facendo ci siamo ritrovati gli unici, a questo giro, a poterci gustare un set intero tutto loro, e non uno inevitabilmente più ridotto per via del doppio bill.
È una delle ultime sere in cui al Magnolia ci si può concedere un concerto all’aperto e, sebbene il calendario dica che è solo il 17 settembre, l’estate pare già un ricordo e iniziano a vedersi già felpe e giacche, vista la temperatura non freddissima in assoluto, ma neppure così alta. Lo spazio davanti al palco grande del Magnolia mostra un’affluenza di pubblico più che buona; forse non c’è il pienone e neppure ci sono problemi di ressa, ma neanche una vistosa mancanza di persone. Uno dei motivi per cui forse sono passati meno dalle nostre parti, piuttosto che in altre zone d’Europa, è che mentre lì fanno numeri ben più che buoni, qui, pur con sei dischi alle spalle e una storia quasi ventennale, sono ancora materia di culto o poco più.
Puntualissimi, alle 21.15, sulle note di I Wanna Be Your Dog degli Stooges, sparata a tutto volume dalle casse, i Black Angels salgono sul palco. L’inizio è programmatico con la vecchia Entrance Song e il suono della band si profila subito diretto, potente, iper riverberato, a partire dalla voce di Alex Maas, devo dire non sempre proprio impeccabile, specie a inizio show, con qualche passaggio vocale un po’ deragliante. Suona il basso in qualche pezzo, ma quasi sempre è alle tastiere e alle percussioni. Visivamente attira il fatto che entrambi i chitarristi sono mancini, con al band completata dalle due ragazze, la nuova bassista (e all’occorrenza tastierista) Misti Hamrick, ma soprattutto la grandissima batterista Stephanie Bailey che, col suo stile tribale e ipnotico, molto sui tom, non solo caratterizza il sound di tutta la band, ma fa da vero e proprio motore portante.
Tutta la prima parte scorre efficace con pezzi come El Jardin, The Sniper At The Gates Of Heaven, Hunt Me Down e Firefly, ma le prime bordate autenticamente esaltanti arrivano quando calano prima Deer-Ree-Shee, poi una sempre acida e ipnoticamente doorsiana Young Men Dead, come sempre clamorosa, per poi accelerare con l’affilata Empires Falling, virare in territori psych wave con Grab As Much (As You Can) e dare il colpo di grazia con la classica Manipulation.
Veleggiando fra un po’ tutti i loro album, qui e là infilano anche alcuni brani nuovi, probabili prime testimonianze di un prossimo lavoro in uscita. Quasi due ore di show davvero eccellente, che sarebbe stato stratosferico se avessero osato un po’ di più con qualche allungo o qualche passaggio improvvisato.
Qualche problemino tecnico incorso al chitarrista Christian Bland, credo abbia costretto a qualche cambio di scaletta durante i bis. Nulla di cui lamentarsi, comunque, visto il suo passaggio al basso sull’ultimo brano, per una devastante versione, più rockista che avanguardista, oltre che decisamente più concisa, di Sister Ray dei Velvet Underground.