Originaria di Toronto, residente a Londra, ma di origini calabresi da parte di madre – lo si è scoperto durante la serata, quando ha chiesto se nel pubblico c’era qualche calabrese di Cosenza – Tess Parks, in una carriera ormai decennale, ha pubblicato appena quattro album, due assieme al mentore Anton Newcombe dei Brian Jonestown Massacre e due a suo nome, l’ultimo dei quali, l’ottimo And Those Who Were Seen Dancing, ancora fresco di stampa, essendo uscito a maggio per la benemerita Fuzz Club.
A parte un’apparizione al Siren di Vasto nel 2016, non aveva mai affrontato un tour vero e proprio dalle nostre parti, ma stavolta, accompagnata da un quartetto a chitarra, basso, batteria e tastiere (gli ultimi due musicisti italiani, in particolare il tastierista era Francesco Perini degli Hacienda, che magari avete incrociato anche col suo progetto solista Pearz), aveva in programma ben quattro date, a Genova, Roma, Bologna e Milano, quest’ultima all’Arci Bellezza, quella dove eravamo presenti noi.
L’affluenza di pubblico è buona, soprattutto visti i tempi, e il merito è anche del fatto che con la rassegna Psychodelice (prossimamente concerti di The Liminanas, Nero Kane, Hickeys, Kee Avil, Asteroid No.4) un po’ alla volta qui al Bellezza si sta creando un fedele pubblico di appassionati.
Quella di Tess Parks è musica mantrica e psichedelica, costantemente immersa in un ronzio elettrico ipnotico, resa plastica da canzoni che si appoggiano a tre accordi tre, tra l’altro spesso gli stessi, una chitarra solista che difficilmente si lancia in assoli, ma coi suoi fraseggi diversifica i vari pezzi, un fondale magnetico di mellotron e organo e un passo ritmico mai concitato, ma senz’altro pulsante e che non fa mai abbassare la tensione.
Sono canzoni che fanno pensare ai Velvet, che inevitabilmente ricordano le pagine psych dei BJM, ma che sanno anche tingersi dell’evocativa aura sognante degli Spiritualized (mai sfiorandone l’epica però) e che, anche grazie alla voce, finiscono per imparentarsi con quanto fatto da Hope Sandoval coi Mazzy Star, band che più volte viene alla mente durante lo show.
Musica che ti avvolge e ti circuisce e che dal vivo trova il suo sbocco ideale tramite affondi lisergici come Cocaine Night, incalzanti rock’n’roll di velluto nero come Please Never Die, ma anche tramite un paio di pezzi offerti in solitaria, nei quali Tess è accompagnata solo dalla sua Telecaster.
Lei ha lo sguardo come perso nel suo mondo, in una sorta di comunione con la sua musica, la quale riverbera nella sala creando un mood fatto d’oscure vibrazioni ben recepite da tutto il pubblico, accresciute inoltre dalla penombra blandamente illuminata da dei visuals nella quale si consuma la performance. Qui e là si sentirebbe la necessità di un maggior trasporto, o meglio di un lasciarsi andare un po’ di più in qualcosa di travolgente, impetuoso e inaspettato, ma la band rimane sempre fedele a questi ronzanti trip dalle minime variazioni, rendendo il tutto più magmatico e intenso rispetto ai dischi.
Nulla di cui lamentarsi veramente, comunque, perché nell’ora e venti di concerto, Tess Parks e compagni hanno esplorato un po’ tutti e quattro i suoi dischi, anche quelli con Newcombe quindi, entusiasmando e trasportandoci in una universo sonoro in cui è risultato facile perdersi.