A neppure due anni dalla loro ultima sortita italiana e con il nuovo, ottimo Felt da poco nei negozi, tornano ad affacciarsi dalle nostre parti i canadesi, di Montreal, Suuns, con un paio di date, una a Roma e una a Milano. Noi abbiamo assistito al concerto nel capoluogo lombardo, svoltosi nel tendone del Magnolia, venue decisamente più capiente di quanto non fosse il Biko, il posto dove avevano suonato l’ultima volta.
Arrivo tardi e mi perdo l’apertura dei Malkovich, dei quali quindi non posso dirvi nulla. Apparentemente non c’è moltissima gente, ma in realtà, appena la band sale sul palco la sala si riempie più che discretamente. Al posto del gonfiabile che campeggiava sul palco nello scorso tour, stavolta alle loro spalle c’è un grosso dipinto ad olio. L’assetto è il solito, col cantante e chitarrista Ben Shemie sulla sinistra, l’altro chitarrista Joe Yarmush al centro, il tastierista Max Henry a destra e dietro di loro Liam O’Neill alla batteria.
Immersi completamente nell’oscurità e nel fumo – cosa che ha praticamente reso impossibile documentare fotograficamente come si deve la serata – i quattro hanno per l’ennesima volta dato vita alla loro peculiare idea di post-punk contaminato. Il maggior peso melodico dell’ultimo album si fa sentire. In buona parte dei pezzi da lì estratti – quasi una decina, Felt è senza dubbio l’ossatura sulla quale è stato assemblato lo show – la voce di Shemie va oltre il mormorio a cui eravamo abituati, mettendo assieme delle linee melodiche che, pur non facendosi mai neppure lontanamente pop, danno una diversa identità alle varie canzoni.
Attorno ad esse, la musica continua però a seguire quelle che sono le direttive del loro sound, una miscela che prevede chitarre taglienti e ripetitive, linee di basso pulsanti (create dalla tastiera, così come dai due chitarristi), gorgoglianti effetti elettronici e un ritmo che soprattutto quando si assesta su un quattro quarti metronomico dà il via a sequenze fortemente ballabili.
Non è musica banalmente facile quella dei Suuns: addosso gli rimane una patina oscura e fumosa, un mood da metropoli lercia, con un senso di allarme e pericolo in agguato. Eppure, e dal vivo lo si nota anche di più, c’è nei loro pezzi qualcosa di accattivante, di seducente, qualcosa che risucchia e che nei suoi momenti migliori diventa addirittura irresistibile ed esaltante. Che siano momenti in cui è la meccanica scansione ritmica della techno o del krautrock a farsi largo, l’affilata ruvidezza del post-punk o l’espansa visionarietà della psichedelia – giusto per citare elementi che come flash compongono il loro suono – la musica dei Suuns insiste nell’essere permeata da una sorta di mistero che continua a rendercela particolarmente cara. L’ottantina di minuti in cui hanno suonato stasera ce l’ha dimostrato ancora una volta.