È un Mark Kozelek particolarmente di buon umore quello che s’è visto al Carroponte di Sesto San Giovanni, in una serata che prometteva pioggia battente, ma che così fortunatamente non è stato. La fama di personaggio incontrollabile e scostante ormai lo precede – la casistica conta innumerevoli episodi – ma lui è uno che ci gioca su parecchio e qui, anche quando ha affermato di doversi difendere dai fottuti stalker (ad esempio, costringendo uno sfortunato addetto alla sicurezza a girare in mezzo al pubblico ad intimare di non fare foto, neppure coi cellulari) o quando ha minacciato di ucciderci tutti se non cantavamo in coro con lui, lo ha fatto all’insegna di una sua particolare forma di (tutto sommato) bonaria ironia e comunque col sorriso sulle labbra. Soprattutto è parso sinceramente emozionato e riconoscente di trovarsi di fronte un pubblico numeroso ed attento, che ben conosceva le sue canzoni (ma come fate a conoscere anche questa? è sbottato un paio di volte, è una delle mie più oscure e poi non ho nemmeno un’etichetta qui in Italia!), ed assai soddisfatto dei concerti portati avanti con dei Sun Kil Moon in versione particolarmente rock, con un assetto che, lui compreso, prevedeva tre chitarre elettriche e due batterie, nonché la prestigiosa presenza di Neil Halstead (di Slowdive e Mojave 3) ad una delle prime ed alla seconda voce, e di Steve Shelley (dei Sonic Youth) ad una delle seconde.
Ad ogni modo, per quanto l’indubbio, sia pur sui generis, carisma del personaggio abbia il suo peso, quello che ha reso particolarmente intensa la serata è stata l’incredibile forza delle sue canzoni, un autentico flusso di emozioni, uno srotolarsi visionario di parole cantate con una voce che ha dentro di sé tutto il tormento di un uomo che probabilmente mai arriverà ad essere del tutto pacificato, parole poi stese sopra una musica ipnotica, reiterativa, vero contraltare al flusso narrativo messo in campo da ciascun brano.
Kozelek, coi Sun Kil Moon, sta del resto vivendo uno dei momenti più alti di una carriera venticinquennale: lo dimostrano sia il capolavoro dell’anno scorso, Benji, che l’ultimo Universal Themes, i due dischi sui cui è costruita l’ossatura di buona parte delle due ore di show. Una in parte riarrangiata Clarissa, veramente riconoscibile solo nelle aperture melodiche del refrain; la sempre memorabile I Watched The Film The Song Remains The Same; l’affondo rabbioso di una veementemente elettrica Richard Ramirez Died Today Of Natural Causes o gli omaggi alla sorella e alla madre di Micheline e I Can’t Live Without My Mother’s Love, i passaggi memorabili tratti dal primo. Dal nuovo Universal Themes particolarmente apprezzate sono state una Ali/Spink 2 dall’attacco quasi sonicyouthiano, il racconto fluviale di This Is My First Day And I’m Indian And I Work At A Gas Station, i cambi tonali di una nervosa Little Rascals. Magnetico e lancinante, Kozelek coi suoi Sun Kil Moon ha idealmente inaugurato la stagione estiva di concerti milanesi come meglio non si sarebbe potuto fare. Era da esserci!