SUFJAN STEVENS
Carrie & Lowell
Asthmatic Kitty/Goodfellas
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Non è sempre stato facile seguire le svolte umorali di Sufjan Stevens. La maggior parte di noi si è innamorato dei suoi dischi più folk e cantautorali, gioielli come Seven Swans o capolavori maestosi come Illinois o Greetings From Michigan, ma nella sua musica c’è sempre stata anche una sorta di ansia a sperimentare con gli elementi più disparati, siano esse le contaminazioni elettroniche dei suoi primissimi lavori, o l’adesione ad una forma di pop totale come accadeva nel discusso ma comunque sempre creativo The Age Of Adz. Negli ultimi anni, questa sua schizofrenia creativa sembrava essere addirittura aumentata, tra dischi hip-hop coi Sisyphus, lavori orchestrali commissionati dalla Brooklyn Academy of Music, mastodontici box di canzoni natalizie, riletture cameristiche di album del passato, il tutto a discapito di una prosecuzione discografica tradizionale. Ad interrompere questa sequenza di produzioni laterali e a riprendere le fila di un discorso interrotto ormai molti anni fa, arriva oggi questo attesissimo Carrie & Lowell, fin da subito pubblicizzato come il suo ritorno al folk.
Stevens, in un’intervista rilasciata al mensile inglese Uncut, ha in realtà dichiarato che non è che avesse premeditato un ritorno a modalità musicali più classiche; ci si è trovato, diciamo così, quasi costretto, quando il progetto ha iniziato a delinearsi come il suo disco più personale in assoluto. Carrie e Lowell sono i nomi di sua madre e del patrigno; ultimo di sei figli, il piccolo Sufjan crebbe col padre e con la seconda moglie di lui. Carrie, una donna depressa, schizofrenica e bipolare, nonché con problemi di tossicodipendenza ed alcolismo, abbandonò la famiglia quando il futuro cantautore aveva ancora solo un anno, per sposarsi tempo dopo con un vecchio amore di gioventù, Lowell Brams. Lowell è una figura importante per Stevens, visto che fu praticamente lui ad iniziarlo alla musica, tanto che, anni dopo, avrebbero fondato assieme l’Asthmatic Kitty. Queste canzoni nascono a seguito della malattia della madre (un cancro), del ricongiungimento fra i due dopo anni e delle riflessioni sulla vita, la morte e l’esistenza tutta che questi eventi hanno scatenato. La sua veste musicale non poteva quindi che essere intima, raccolta, portatrice di un calore emozionale che facesse risaltare con forza l’intensità delle parole.
Dal punto di vista musicale, qui, è tutto un intrecciarsi di corde acustiche – chitarre, banjo, piano – a cui s’aggiungono una pedal steel, qualche tocco di tastiera, delle rarissime ed appena accennate percussioni (in un paio di brani al massimo). Sopra queste partiture – che spesso scivolano in code sognanti, ambientali, cinematiche – Sufjan Stevens ha posto alcune delle sue melodie più dolci e toccanti, capaci di far vibrare le corde del cuore. Brani come Death With Dignity, la melodicamente efficacissima Should Have Known Better, la classicamente folk Eugene, l’incantevole The Only Thing o una ballata che commuoverebbe anche le pietre come John My Beloved, hanno tutte le carte in regola per stare tra le pagine più alte del canzoniere stevensoniano. Bellissima All Of Me Wants All Of You, dove una chitarra elettrica e le tastiere concorrono all’andamento ascensionale del pezzo; filiformi ed attonite Drawn To The Blood e Fourth Of July, la prima con un puntiilismo pianistico ipnotico, la seconda attraversata da astrazioni sonore, specchio di un anelito spirituale. Disco da godersi nella sua totalità Carrie & Lowell, a cui abbandonarsi facendosi cullare dalla sua malinconia.