Scriveva Gianfranco Callieri sul Busca del maggio 2021, a proposito di The Last Exit, ultimo album del duo anglo-americano Still Corners: le undici canzoni di The Last Exit sanno trasmettere un senso di solitudine fatale, l’idea insinuante di una vocazione rock sommersa in filigrane mistiche, folk- rock al rallentatore, atmosfere celestiali e psicomagia dal tocco classicheggiante. Ciascun brano sembra essere guidato dal desiderio di riassumere la neo-psichedelia degli ultimi decenni, e se il compito prefissato risulterebbe improbo per chiunque, tra una strizzata d’occhi a Nico e una piccola genuflessione alle sonorità rarefatte dei Cowboy Junkies, gli Still Corners riescono comunque a produrre una piccola cornucopia di grandi suggestioni.
Parole che ben rendono il fascino della musica creata dalla cantante e tastierista britannica Tessa Murray e dal chitarrista statunitense Greg Hughes, un coacervo di psichedelia rock e narcotiche melodie pop che viene facile definire dream pop. Logico quindi che grande era la voglia di vederli dal vivo e l’occasione è stata colta al volo grazie al loro passaggio dal Magnolia di Segrate, tanto più che ad aprire c’era una band di cui m’ero quasi dimenticato, tornata invece di recente con un nuovo lavoro, ovvero i Papercuts, i quali sono stati protagonisti di un bel set di folk-rock psichedelico tipico della loro città di provenienza, San Francisco, che di sicuro ha predisposto al meglio.
Gli Still Corners sul palco si presentano in tre, con Murray e Hughes accompagnati da un batterista intento ad occuparsi anche della gestione del portatile al suo fianco. E veniamo così subito al punto dolente della loro esibizione: impossibilitati a riprodurre in tre la loro musica così come appare sui dischi, hanno fatto amplissimo ricorso a delle basi registrate, cosa che, inutile negarlo, un po’ il naso l’ha fatto storcere, perché un conto è qualche coloritura qui e là, un conto è sentire basso, chitarre acustiche e strati e strati di organi e tastiere e non vedere nessuno che li suona.
Detto questo – che bisogna ammetterlo, non è poco – comunque la loro musica è parsa anche dal vivo terribilmente affascinante, guidata con eleganza da una Tessa Murray che non avrà la personalità di una Hope Sandoval, ma sa bene come ammaliare gli ascoltatori dipingendo melodie languide e romantiche con la sua ugola, mentre Hughes schitarrava dimostrando una pressoché totale adesione agli stilemi estetici e musicali del rock classico, cosa che sui dischi forse emerge solo fino a un certo punto.
Più che a un concerto dream pop infatti, sembrava di essere allo spettacolo di una formazione rock anni 80, cosa esplicitata in maniera quasi didascalica dalle due cover messe in scaletta, So Far Away dei Dire Straits e Dancin’ di Chris Isaak, artista quest’ultimo evocato in maniera massiccia anche da numerosi loro pezzi, visto il piglio cinematografico e lynchano in comune.
Senza strabiliare – quanto sarebbe stato diverso con una formazione al completo sul palco? – alla fine gli Still Corners il risultato lo portano anche a casa, anche perché pezzi come The Last Exit, White Sands, Black Lagoon o The Trip, tanto per citarne qualcuno di quelli eseguiti durante la serata, indubbiamente circuiscono e trasportano in un universo in qualche modo dipinto coi tratti di un immaginario ai confini col Mito.