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Song for Jesse: un ricordo di Jesse Colin Young 1941-2025

Jesse Colin Young ci ha lasciati il 16 marzo scorso. Il grande pubblico lo conosceva per aver portato al successo Get Together con i suoi Youngbloods, ma la sua carriera era iniziata anni prima e sarebbe proseguita dopo quell’hit per un altro mezzo secolo.

Nato a New York nel 1941, il suo nome all’anagrafe era Perry Miller. Poco più che ventenne, decise di presentarsi nelle serate a microfono aperto del Village, scegliendosi uno pseudonimo che pescava dalle sue passioni adolescenziali per le leggende del selvaggio West. Così, quel «Jesse» era un tributo a Jesse James, il celebre bandito che, dopo la Guerra Civile Americana, era diventato famoso per le rocambolesche rapine a banche e treni. Il resto del nome d’arte, invece, prendeva ispirazione dal leggendario Cole Younger, compagno di James nella banda di ladri romantici che rubava ai ricchi per dare ai poveri.

Fin da ragazzo, fu subito evidente che la musica sarebbe diventata la stella polare nel destino di Perry/Jesse. Avviato dai genitori allo studio del piano, si dimostrò un alunno di talento, tanto da meritarsi una borsa di studio alla Phillips Academy di Andover, dove alla pratica della chitarra classica preferiva le canzoni degli Everly Brothers. Dopo essersi trasferito all’università in Ohio, trascorse la maggior parte delle sue giornate in un negozio di dischi dove fece la conoscenza dei classici del blues nero, primo fra tutti il genio di T-Bone Walker. Contemporaneamente, Young si cimentò nello scrivere canzoni. Così, quando arrivò nei piccoli club folk della Grande Mela, non era uno dei tanti che si limitavano a reinterpretare brani tradizionali, ma si distinse fin da subito esibendosi con brani originali. Ben presto fioccarono i primi contratti discografici. The Soul Of A City Boy (Capitol, 1964) e Young Blood (Mercury, 1965) sono due ottimi dischi che mischiano folk, blues con qualche accenno jazz, e ricordano le atmosfere notturne dei primi album di Fred Neil.

Una sera, mentre si esibiva in un locale di Cambridge (sobborgo universitario di Boston), Young incontrò il chitarrista Jerry Corbitt. Con lui, il pianista Lowell “Banana” Levinger e il batterista Joe Bauer, formò gli Youngbloods. Erano gli anni in cui il folk stava abbandonando la fase della prima infanzia per evolversi verso un suono elettrico. Il 1965 segnò un punto di svolta definitivo: quell’anno Dylan mise in atto il «grande tradimento» al festival di Newport, mentre i Byrds portarono al successo Mr. Tambourine Man. Il nuovo gruppo di Young, in una New York che pullulava di talenti e idee, non tardò a farsi notare. Da subito, gli Youngbloods divennero la house band del Café Au Go Go e quella visibilità procurò loro un contratto discografico.

The Youngbloods (RCA, 1967) coglie alla perfezione la scaletta di una delle esibizioni dal vivo della band: alterna composizioni di Corbitt e di Young, cita il Fred Neil di The Other Side Of This Life, e omaggia tre grandi bluesmen — Blind Willie McTell, Jimmy Reed e Mississippi John Hurt. Inoltre, il disco contiene una prima versione di Get Together. Il pezzo era stato scritto da Chet Powers, alias Dino Valenti (futuro fondatore dei Quicksilver Messenger Service), allora folksinger nel Village. Pare che Jesse Colin Young avesse ascoltato quella canzone da Buzzy Linhart, anche lui cantautore e amico di John Sebastian e Fred Neil. All’uscita dell’ellepì, il brano non suscitò particolare interesse di pubblico. Due anni dopo, però, il pezzo venne scelto per una pubblicità televisiva della National Conference Of Christians And Jews, un’istituzione impegnata nella difesa dei diritti sociali delle minoranze. Le parole del ritornello — Come on people now / Smile on your brother / Everybody get together / Try to love one another right now — divennero lo slogan perfetto per le battaglie dell’organizzazione. Lo spot fece il miracolo: la canzone balzò al quinto posto delle classifiche di Billboard, facendo vendere agli Youngbloods un milione di copie.

La band non riuscì più a ripetere quel successo, anche se dalla penna di Young uscirono molte altre perle che avrebbero meritato lo stesso riconoscimento. Una su tutte, Darkness Darkness: contenuta in quello che rimane il disco più maturo degli Youngbloods — Elephant Mountain (RCA, 1969) — denunciava gli orrori della guerra del Vietnam. Nella sua rilettura del 2002, la canzone portò Robert Plant a ricevere la candidatura ai Grammy come miglior performance maschile dell’anno. Dopo la fine dell’esperienza con gli Youngbloods e il trasferimento a Marin County, in California, Young intraprese una lunga carriera solista costellata da molte soddisfazioni. Un grande riconoscimento arrivò con la tournée di supporto a Crosby, Stills, Nash & Young del 1974. Col disco Songbird (Warner, 1975), raggiunse il numero 26 delle classifiche. Inoltre, fu uno dei protagonisti dello storico evento No Nukes, tenutosi al Madison Square Garden nel settembre 1979, contro l’uso dell’energia nucleare.

Fra i suoi lavori solisti, segnalo Together (Warner, 1973) e Song For Juli (Warner, 1974), dedicato alla figlia. Nel 2012, gli fu diagnosticata la malattia di Lyme, che lo tenne lontano dalle scene per qualche anno. Durante la pandemia, Young creò un suo canale YouTube, chiamato One Song At A Time, in cui riprendeva i suoi vecchi brani, uno per ogni episodio. Lo stesso anno uscì l’ultimo suo album, Highway Troubadour, in cui ripropose alcuni dei suoi classici. Se ne è andato a 83 anni, ma il suo messaggio di peace & love risuona oggi più attuale che mai. 

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