Con tutto il gran parlare che s’inizia a fare di ritorno degli anni ’90, era probabilmente lecito aspettarsi un super pienone per i concerti di Sebadoh e Thurston Moore. Invece, accoglienza sotto le aspettative per entrambi, specie per i primi che non riescono a fare sold out neppure nel mitico, ma non certo gigantesco, Bloom di Mezzago. Ritornati sulle scene di recente con un nuovo album, dopo quasi un quindicennio d’assenza, i Sebadoh sono parsi però in grado di riscaldare i cuori di tutti quelli che all’epoca si erano innamorati della loro musica e che anche oggi hanno voluto dargli una possibilità. Le canzoni di Lou Barlow e Jason Loewenstein (con loro il nuovo batterista Bob D’Amico) hanno ancora molto da dire e, mescolando indie-rock e lo-fi, melodia pop e distorsione, pur col passare del tempo, non suonano fortunatamente né patetiche, né (troppo) nostalgiche. In quasi due ore di generoso show – costellato giusto da qualche problemino tecnico – i loro classici sono sfilati un po’ tutti, intervallati dai nuovi pezzi che, dal vivo, di certo non hanno sfigurato (anche se, con un pizzico di autoironia, ogni volta che ne facevano uno, sia Jason che Lou esortavano il pubblico ad applaudire più entusiasticamente). La loro centralità all’interno del sempre più confusionario circo mediatico sembra ormai smarrita per sempre – anche se c’è da dire che, anche all’epoca, le fortune maggiori Barlow le ebbe coi Folk Implosion e ovviamente con i Dinosaur Jr. – ma ciò non toglie che i tre rimangano capaci d’intrattenere con grinta e con un repertorio che probabilmente non invecchierà mai. Thurston Moore arriva invece all’Alcatraz una domenica sera – tra l’altro pochissimi giorni dopo del passaggio milanese di un altro Sonic Youth, Lee Ranaldo – col poco invidiabile stato di soli 200 biglietti venduti in prevendita. Per fortuna la gente alla fine arriverà e, anche se i numeri non saranno quelli della Gioventù Sonica, ci sarà un pubblico più che discreto a vedere la sua performance. Molto bene, intanto per via della bontà del recente The Best Day, e poi per la possibilità di vederlo con la sua nuova band formata da Deb Googe dei My Bloody Valentine al basso, dal chitarrista James Sedwards e dal vecchio compagno Steve Shelley alla batteria. Un gruppo compatto, in grado di far vedere gran belle cose, soprattutto nel dialogo fra le chitarre di Moore e Sedwards, il primo più minimale, ipnotico ed ovviamente rumoroso, il secondo invece propenso a pennellature ed assoli di più tradizionale gusto rock. Lungo quasi tutta la durata del concerto è stato unicamente The Best Day ad essere saccheggiato, album le cui perle son state tutte confermate, a partire dalle lunghissime versioni delle ottime Forevermore e Speak To The Wild, fino alla title-track e ad una Grace Lake ossessivamente memorabile e tinta di psichedelia. Un paio di tuffi nel passato si sono avuti solo nei due encore, con Pretty Bad ed Ono Soul, entrambe tratte da Psychic Hearts ed entrambe accolte giustamente con calore ed entusiasmo. Thurston è parso davvero in gran forma, insomma, e peccato per quanti sono rimasti a casa, bisognosi, per uscire, del “brand” Sonic Youth.