Fusignano è un comune romagnolo, di quella Bassa Romagna un tempo appartenuta alla Casa d’Este, con meno di 10’000 abitanti, noto per aver dato i natali al violinista Arcangelo Corelli (nonché all’allenatore Arrigo Sacchi), per la radicata tradizione cooperativista e per il coraggio dimostrato dai suoi cittadini, decorati con una Croce di Guerra al Valor Militare, nel resistere alle Potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale.
Come ho avuto modo di scoprire, con mia grande sorpresa, lunedì scorso, Fusignano è anche la capitale forse mondiale degli estimatori di Rocky Votolato, cantautore originario del Texas (è nato a Dallas nel 1977) benché da tempo trasferitosi nello stato di Washington (sotto la pioggia battente della città di Seattle) e, a quanto pare, amato dai fusignanesi più di qualsiasi altro collega. Nel primo spettacolo di un piccolo tour italiano di tre date, Votolato, per la seconda volta in pochi anni a Fusignano, è infatti riuscito a riempire il teatro dell’Auditorium Corelli, peraltro dotato di un’acustica perfetta, portandosi dietro non solo curiosi e spettatori occasionali, ma una nutrita (e numericamente predominante) schiera di ammiratori incalliti, in grado di riconoscerne le canzoni alle prime note e di cantarle parola per parola in una continua, incessante manifestazione di affetto.
Votolato imbraccia una Guild segnata dal tempo, usa pochi accordi e, rispetto ai lavori in studio, ascoltando i quali sembra di trovarsi spesso di fronte a un Ryan Adams dal guscio alt.country appena ispessito, affronta il palcoscenico con spirito dolente e grinta rockista, allestendo in pratica una parafrasi acustica del suono urbano dei Gaslight Anthem o del folk-punk di Frank Turner e Chuck Ragan. La parte più cospicua della scaletta viene riservata alle canzoni elettroacustiche del recente, malinconico Hospital Handshakes, da cui arrivano per esempio la sfoltita amarezza folkie dell’intensa Royal e la ballatona The Hereafter (in un ralenti cinematografico del prototipo di studio), ma non mancano ripescaggi vari da una discografia solista quest’anno ormai giunta al nono capitolo. Eliminati, o quasi, gli spunti rootsy di The Brag And Cuss (2007), ancora il suo album migliore, o il minimalismo di Makers (2006), comunque citato in una versione da applausi della magnifica White Daisy Passing, l’artista suona per un’ora e rotti sciogliendo muscoli folk-rock nel timbro nostalgico e disilluso di un cantastorie dai margini.
Voce indimenticabile e scrittura memorabile non fanno parte del suo bagaglio espressivo, ma questo, tutto sommato, nulla toglie al calore e all’intimità di una serata, allestita con infinita passione dai ragazzi del Circolo Arci Brainstorm, dalla rilevanza molto più evidente di quanto non possa apparire a un primo sguardo. Perché, per una volta, la generosità della provincia, l’accoglienza di un comune, l’attaccamento e la dedizione alla causa degli organizzatori, e infine, ultima senza esserlo, l’umiltà di Rocky Votolato, se non ci dicono (come non possono e non vogliono, giustamente, dirci) nulla di nuovo sul futuro della musica, raccontano però moltissimo, e dio solo sa quanto ce ne sia bisogno, riguardo a una certa maniera, indiscutibilmente sana, dallo stare al mondo.