
Il 23 aprile, quel vecchio, insopportabile, scorbutico gigante di David Thomas ci ha lasciati, togliendo il disturbo dalla sua casa di Brighton, dove risiedeva da tempo.
Odio usare la parola «genio» in ambito musicale — Bob Dylan, Frank Zappa, Capt. Beefheart sono i pochi che mi vengono in mente. Ma come definire l’uomo che creò quella macchina da guerra proto-punk dei Rocket From The Tombs, avanti di vent’anni rispetto al loro tempo? E poi, come considerare i Pere Ubu, la sua invenzione avant-garde più geniale? E, siccome tre indizi fanno una prova, come spiegare la sua frequentazione di gente del calibro di Richard Thompson, Chris Cutler e Lindsey Cooper?
È sufficiente riascoltare quel capolavoro di Modern Dance, o anche solo l’ultimo, eccellente lavoro degli Ubu (Trouble On Big Beat Street), per capire che talento si celasse dietro quel personaggio dal carattere scostante, corpulento da giovane, rinsecchito e affaticato da anziano.
Ho visto David Thomas dal vivo almeno una ventina di volte in tutte le sue molteplici incarnazioni: con i Pere Ubu, coi Pedestrians, con i Two Pale Boys, da solo. L’ho visto e ne ho scritto anche sul Busca (#471). Mi piace ricordarlo con un aneddoto personale. Pochi anni fa, una delle ultime volte che andai a un suo concerto, ero a Zurigo, alla Rote Fabrik, lo storico centro sociale, spina nel fianco della sonnolenta città svizzera. Sul palco, i Pere Ubu. David stette seduto su uno sgabello per tutto il concerto perché le sue ginocchia non lo reggevano più. Debilitato fisicamente, mostrava comunque il solito piglio dittatoriale, dirigendo il resto della band con un accanimento feroce. In una delle pause fra un pezzo e l’altro, Thomas suscitò l’ilarità del pubblico, e un’alzata di spalle dei suoi musicisti, quando citò la raccomandazione della moglie, che prima di partire per il tour gli aveva fatto promettere di essere «carino» col suo pubblico e con il resto degli Ubu. Al termine del set e prima del bis, visto che seguivo il concerto attaccato al palco, gli offrii il braccio per aiutarlo a scendere dallo sgabello. Lui si appoggiò e mi intimò, non mi chiese, mi intimò, di portarlo al banco delle birre che stava subito fuori il locale. Rientrammo insieme, a braccetto, e il suo ritorno suscitò un’ovazione del pubblico. Mi permisi di sussurrargli all’orecchio: «Ricordati che tua moglie ti ha fatto promettere di essere carino!». Lui mi guardò, abbozzò un mezzo sorriso e si esibì in un teatrale e goffissimo inchino dedicato a chi lo stava applaudendo.
Prima di morire, Thomas stava ultimando le registrazioni di un ultimo album con gli Ubu ed era in procinto di terminare la sua attesa autobiografia. Il sito degli Ubu promette che entrambe le opere vedranno la luce. Il suo corpo mortale verrà sepolto nella sua casa di campagna, in Pennsylvania. Le sue ultime volontà sono state: «Gettatemi nel fienile!». L’epigrafe da porre sulla tomba, l’ha vergata lui stesso, di suo pugno: «My name is David Fucking Thomas and I’m the lead singer of the greatest fucking rock’n’roll band in the world». So long, Crocus Behemoth!