RHIANNON GIDDENS
Tomorrow Is My Turn
Nonesuch
***½
Conosciuta coi Carolina Chocolate Drops (splendido, anche ironico nome…), la ritroviamo in proprio; un’occasione istigata da una sua performance in un concerto – ha originato Another Day Another Time: Celebrating the Music of Inside Llewyn Davis–, che ha impressionato un tipo quale T Bone Burnett. Lui, da produttore, l’ha spinta a entrare in studio, rovistando in un’ampia gamma di riferimenti musicali, senza perconcetti sull’appartenenza a questo o a quel genere, mettendo insieme diverse fonti tutte al femminile, che portano al folk, al country, allo spiritual, e ad alcune sue composizioni. Tra i musicisti, Colin Linden (chitarra), Tennis Crouch e Paul Kowert (basso), Gabe Witcher (violino), Jack Ashford (percussioni), Jay Bellerose (batteria). Tomorrow Is My Turn, scritto da Charles Aznavour, è ispirato alla performance di Nina Simone (in I Put A Spell On You), ed esprime rammarico, orgoglio, desiderio di rivalsa. Ben strutturata e orchestrata, la versione di Rhiannon ne mantiene tutta l’intensità, con la costruzione drammaticoteatrale “aznavouriana”: un arrangiamento che migliora(!) quello “accelerato” della Simone.
L’album inizia con la ricostruzione di un “race record” (dischi del catalogo di musica dei “negri per i negri”…), registrato nel ’30 da una sconosciuta Geeshie Wiley: Last Kind Words, una miscela di preghiera folk-blues, acustica, intensa e dai toni dolenti. E dalla tradizione nera, variandone il testo, va a ripescare l’eccellente Black Is The Color (“of my true love hair”), arrangiandolo tanto da alterarne il ritmo con coloriture caraibico-blues che lo portano a dimensioni sonore attuali: all’armonica il compito di tingere di giallo le pagine del calendario. Deliziosa è la ripresa del folk-blues Shake Sugaree di Elisabeth Cotten: un gioiellino di delicatezza narrativa. Grande forza espressiva, la Giddens la mostra in Waterboy, folk-spiritual-blues della grande Odetta che parte con possente battito vocale e strumentale, come in un holler, per poi dispiegarsi in forma di ballad, e infine riprendere la cadenza ritmica iniziale, e nel gospel, proto-r&r (eh si….) Up Above My Head, dal repertorio dell’altrettanto influente Sister Rosetta Tharpe, coadiuvata dal controcanto corale (Tata Vega e altri).
Uno sguardo stilistico diverso la porta a un brano di Dolly Parton (bravissima interprete, sottovaluta autrice): la brillante ballad mid-tempo Don’t Let It Trouble Your Mind, con bel finale condotto segnato dal violino e dal canto sussurrato. E’ un clima country che ritroviamo anche nel valzer lento She’s Got You, amara storia d’amore (“Io ho la tua foto, ma lei ha te…”) di Hank Cochran, a suo tempo narrata da Patsy Cline. Di taglio folk religioso è l’intensa, scarna e quasi lirica Round About The Mountain, tradizionale arrangiato da Roland Hayes, mentre è lei stessa a “manipolare” un bellissimo, evocativo O Love Is Teasin’ con “tonalità celtiche” (la fonte è Jean Ritchie). In chiusura di un percorso, a tratti non facile, la Giddens sceglie la sua poetica Angel City, ballad acustica, quasi una nenia, dando ulteriore misura del suo potenziale artistico.