Recensioni

Stefano Bollani, Joy In Spite Of Everything

di Guido Michelone

BollaniSTEFANO BOLLANI
Joy In Spite Of Everything
ECM
****

Il funambolico pianista, simpatico rappresentante del Made in Italy nel mondo (almeno per quel che concerne il jazz e la musica in genere) si presenta con un nuovo disco formato da nove fresche composizioni e un inedito quintet dalla formazione assolutamente imprevedibile: per i due fitti giorni all’Avatar Studios di New York, Stefano Bollani, oltre i fidi danesi Jesper Bodilsen (contrabbasso) e Morten Lund (batteria) si ritrova con due astri del firmamento jazz statunitense, con i quali non aveva mai suonato prima: Bill Frisell alla chitarra e Mark Turneral sax tenore, per dar vita a un album dai contenuti abbastanza ottimistici come parrebbe suggerire il titolo: “gioia nonostante tutto”.

Rispetto all’esuberante istrionismo del leader nostrano, che dal vivo genera talvolta una demagogica spettacolarizzazione, in Joy In Spite Of Everything c’è invece l’esigenza di far esaltare il talento con la fantasia e la creatività che s’incentrano anzitutto su una scrittura rivolta al lavoro collettivo e alle singole virtù. Ne vien fuori insomma il disco del Bollani autore e musico, solista enciclopedico, che sa essere a proprio agio persino nel ruolo di un accompagnatore sensibile, che quasi si esalta per l’intesa subitanea con Frisell e Turner. Il grande chitarrista viene introdotto nell’inedito contesto attraverso una naturale spigliatezza e una esemplare discrezione, che tra l’altro gli consente di preservare gli spazi del leader alla tastiera, poiché lavora innanzitutto sugli accordi, fino a imprimere e preservare mantenendo un duplice ruolo (solista e accompagnatore). Perno centrale dell’intero disco è forse Teddy, il pezzo che Bollani dice ispirato dallo stile del classico swinger Teddy Wilson, traducendosi in un dialogo pianoforte/chitarra su linee oblique e che quasi in maniera telepatica convergono sul tema. Altrettanto riuscito è infine il song d’apertura, Easy Healing, ai ritmi del calypso, grazie a una linea cantabile, semplice, gioiosa con il quintetto concentrato ed esuberante al tempo stesso, dove perfino il sax di Turner di solito ermetico e concettuale, pare liquefarsi in un contagioso tratto poetico.

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