Paolo Conte
Snob
Universal
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Grande era l’attesa di un nuovo disco di Paolo Conte, visto che la lunga assenza di nuove sue canzoni aveva creato un silenzio assordante tra i suoi cultori; fortunatamente, con questo Snob, il Maestro (come altro chiamarlo?) è tornato prepotentemente alla ribalta con un’opera di assoluto valore che si inserisce perfettamente nel solco del suo cammino artistico.
Il disco è stato presentato agli addetti ai lavori in una conferenza stampa, tenutasi in uno dei templi vitivinicoli dell’Astigiano, la Cantina Braida, e l’incontro è stato gestito da Paolo Conte proprio con la signorilità che ci si aspetterebbe da un gentiluomo piemontese di vecchio stampo. Paolo Conte, secondo un mio personale parere, non fa mai dischi nuovi, ma persegue un suo cammino musicale peculiare che lo porta a costruire un’opera d’arte unica, assemblata da un insieme di tasselli (che sono i suoi dischi) e che costituirà poi alla fine un omaggio all’Arte o all’Amore o alla Donna (a lui la scelta). Paolo Conte quando glielo ho detto, paragonando la sua opera a quella di Van Morrison e di Leonard Cohen, mi ha risposto che mi era grato di questa osservazione e che lui ritiene di costruire un’opera d’arte con la sua musica, di carattere universale, anche se non ha mai registrato un concept album. Snob è il titolo del disco che, secondo le intenzioni dell’artista, è esemplificativo di alcune tipizzazioni particolari, quali: l’intellettuale, lo snob (quello parvenu, un po’ superficiale di cui canta nella title-track) e il dandy, il preferito da Conte. Il disco riprende i suoi temi quali un esotismo, un po’ datato (volutamente), di maniera (ma che serve da velo per la sua naturale ritrosia), come in Maracas, piena di ritmi evocati da una Cuba in sottofondo e con un inserto cantato in un irresistibile dialetto genovese; Tropical, di cui vi consiglio di cercare il video, ambientata in una improbabile balera italiana degli anni ’50, miscelata con accenni ai Minstrel-shows e con una sequela di rime in “al”: Illusional, Gerovital, Abitual, Subliminal e così via che richiamano il titolo ed il miglior Bergonzoni (a quando una collaborazione?); Signorina saponetta, brillante mazurka, dove Conte ci sorprende ancora con il suo gioco di parole che ricorda il suo amore per l’enigmistica e per il francese; Ballerina, con bell’uso dei fiati in stile fox-trot da anni ’10 (del secolo scorso!), con altra ambientazione da “dance-hall”. Ma Conte esplora anche i reconditi recessi dell’animo umano (maschile e femminile), impegnato nella costante partita di tennis che è la vita, con le sue derive amorose, ed ecco sorgere le perle del disco: Donna al profumo di caffè, raffinata ballata, punteggiata dal bel pianismo del Maestro e dalle sue rime che ci portano all’interno di un sogno, sussurrato con la sua calda voce rauca: “…e tu a chi appartieni tu?”; Snob, con una bella intro classicheggiante di piano, per un improbabile triangolo amoroso di provincia; Fandango solo piano e voce per un’altra misteriosa, onirica e forse dolorosa storia d’amore; L’uomo specchio, jazz-ballad, dalle sonorità insospettatamente moderne, con bell’uso dei fiati che racconta della misteriosa bellezza racchiusa in un abbraccio (ideale) davanti allo specchio; Gente (CSIDN), dove l’acronimo del titolo sta per Gente Che Stava Innamorandosi Di Noi, canzone in cui, su una chitarra quasi acida, Conte ci narra dei misteri dell’ innamoramento. C’è anche dell’altro in questo Snob: una misteriosa, cupa e volteggiante Glamour dalla ritmica nervosa, e dal testo volutamente incomprensibile e “antipatico”, nel rappresentare il Glamour come un orrendo condor che plana sul mondo; due spicchi di vita vissuta “on the road”, come nei ritratti, sempre molto pieni di empatia di una prostituta in Tutti a casa e di un improbabile incontro di un camionista peruviano con una ragazza “di strada”, in Manuale di conversazione.
Snob è un disco quasi perfetto per racchiudere la poetica contiana e la sua musicalità che si nutre sia di raffinatezze pianistiche ed orchestrali che di sonorità istintuali quali il kazoo ed il borbottio di Paolo Conte che sa di reminiscenze jazzistiche “scat”. Citazione a parte per l’iniziale Si sposa l’Africa, inconsueta, esotica e fresca canzone condita di ritmi da juju music, in cui l’Africa incontra i Caraibi, esplodendo in un fuoco d’artificio policromatico, sospeso tra la tradizione e la modernità.
Chapeau!