Chiunque abbia pensato, anche solo una volta nella vita, che John Lydon fosse ormai bollito, dovrebbe proprio andare a vederlo dal vivo coi suoi Public Image Ltd.. Devo ammettere che, per un certo periodo di tempo, anche al sottoscritto il sospetto era venuto: fino al 2012 del suo comeback con This Is PiL, per un ventennio buono era stato una figura tutto sommato marginale, chiacchierato giusto per la reunion coi Sex Pistols e la sua partecipazione ad un reality show.
This Is PiL, col quale all’epoca ero stato fin troppo severo, ed il recente, ottimo What The World Needs Now, hanno invece dimostrato quanto il vecchio Rotten possa ancora essere centrale ed avere qualcosa da dire, specie in una scena musicale attuale sempre più priva di figure di peso. Rimaneva da testarne solo la resa live e, giusto per sgomberare dubbi fin dall’inizio, dico subito che le quasi due ore di show viste in dei Magazzini Generali pieni ma non sold out, sono state in larghissima parte esaltanti, tra le cose migliori viste quest’anno.
Ingrassato, ma con un ciuffo strafottente e negli occhi la vispa vitalità del genio teppista, cosa che non ha smesso di essere neppure alla soglia dei sessant’anni, Lydon è parso una vera e propria forza della natura. Se da una parte garantisce sempre divertimento assicurato, grazie ad una mimica facciale assolutamente impagabile – figurarsi poi cosa accade quando gli lanciano sul palco un pupazzo con le sue fattezze ed inizia a duettarci! – dall’altra ha stupito per la potenza e l’unicità di una voce che non fa prigionieri, inerpicandosi in passaggi che hanno quasi dell’operistico e mescolando furia metropolitana e lirismo in un solo passaggio vocale.
Ma se è ovviamente lui quello al centro della scena, non da meno sono i compagni in formazione, a partire dalla precisissima sezione ritmica formata da Scott Firth e Bruce Smith, per arrivare ai sempre ficcanti incisi di chitarra e saz elettrico di un Lu Edmonds presentato come Gesù Cristo, ma in realtà più simile ad un incrocio fra Rasputin e Bin Laden. Varia e spaziante lungo l’intera carriera la scaletta messa in campo, dove anche le nuove canzoni trovano il loro spazio, non sfigurando rispetto ai pezzi storici: la Double Trouble con cui attaccano (ma quanto gli devono gli Sleaford Mods a Lydon?), Know How, la ficcante Bettie Page, il pop-rock clashiano The One, la cattivissima Corporate, l’ipnotica Deeper Water, i pezzi tratti dai dischi del nuovo corso. Poi è ovvio che le cose più emozionanti siano arrivate quando in scaletta sono apparse Swan Lake (o Death Disco che dir si voglia), lunghissima e lancinante; l’allucinata litania Religion, con un basso spaccabudella; una This Is Not A Love Song cantata in coro da tutti; fino all’ovvio finale con lo schiaffo punk di Public Image e l’ascensionalità pop di una sempre mitica Rise. Quando ancora eccheggiano le note di quest’ultima, i quattro PiL, sorridenti e soddisfatti, salutano e se ne vanno, mentre noi ci culliamo nella certezza di aver assistito ad una grande serata.