I Protomartyr, quartetto di Detroit autore di quattro album, il cui ultimo, Relatives In Descent, finito in molte classifiche di fine anno tra i migliori del 2017, sono passati con il loro tour anche dall’Italia. Lo Spazio 211 di una Torino con un clima più estivo che primaverile li ha accolti con entusiasmo e partecipazione, in quella che era per certi versi un’anticipazione del Todays Festival 2018.
In circa un’ora e mezza, i Protomartyr hanno messo in scena il loro post-punk affilato e tagliente, dal vivo ancor più che su disco debitore della lezione dei grandi ed indimenticati Fall di Mark E. Smith. Minima l’interazione col pubblico, sostituita da uno scazzo da proletari devastati dall’alcol – il cantante Joe Casey aveva in ciascuna tasca della sua giacca una lattina di birra, chiaramente consumate una via l’altra durante lo show – e da un’attitudine operaia che non ha lasciato spazio a fronzoli o abbellimenti di sorta.
Sound ridotto all’essenziale, ma tutt’altro che privo di carattere, con la chitarra di Greg Ahee intenta a gestire con fraseggi e spasmi di distorsione la parte più strettamente musicale, lasciando alle basiche linee di basso di Scott Davidson e soprattutto all’ipnotico e incalzante rullare dei tamburi di un sempre efficace Alex Leonard il compito d’incorniciare quelli che sono fondali per le elucubrazioni fumose e allucinate di Casey. Scaletta equamente divisa fra i loro ultimi tre album, in uno show che ha dato il suo meglio nella serrata seconda parte, nella quale la band ha sputato fuori i vari pezzi senza lasciare un attimo di pausa fra l’uno e l’altro. Un sound pressante e spigoloso il loro, capace di farsi forza di un’apparente immobilità cromatica, priva di alcun tipo di glamour e anzi permeata da un urgenza che è parsa autentica. Per il sottoscritto, promossi senza alcuna riserva.
Prima di loro, in apertura, la buona prova dei torinesi Less Than A Cube, i quali hanno presentato le canzoni del loro imminente nuovo album.