Cosa c’è di meglio di una bella gita fuori porta, al mare, quando la calura diventa insopportabile? Aggiungerci anche un concerto, naturalmente! Se poi questo concerto te lo vai a vedere in un posto incantevole quale quello in cui si svolge il Mojotic Festival, allora il godimento diventa assoluto. È nella splendida cornice della Baia del Silenzio di Sestri Levante, per la precisione all’Ex Convento dell’Annunziata, che si svolgono la maggior parte dei loro concerti (non tutti, alcuni avvengono al di poco distante Teatro della Conchiglia), uno spazio non grandissimo, affacciato sul mare, che definire intimo ed accogliente è persino poco. A rompere senza nessun pudore il silenzio che dà il nome alla baia, in una calda sera di luglio, ci hanno pensato i Primal Scream, giunti al Mojotic con un anno di ritardo, ma di parola nel recuperare il concerto saltato l’anno scorso per via dell’incidente occorso a Bobby Gillespie.
E, diciamolo subito, la band scozzese ha ripagato l’attesa con uno concerto esaltante all’insegna del rock’n’roll. Se c’era chi poteva temere uno show leggerino, magari ispirato al loro ultimo album, il non del tutto convincente e pop Chaosmosis, s’è dovuto senza tema di smentita ricredere. Nell’ora e mezza di concerto – l’unico appunto possibile alla serata è nella durata, ne avremmo voluto di più, come in passato altre volte hanno fatto, ma si sa che suonare all’aperto ha i suoi vincoli – protagonista è stato il versante stonesiano, chitarristico e rock del loro fare musica.
In assetto a cinque, col filiforme Gillespie a fronteggiare una band composta dai veterani Andrew Innes (rimasto chitarrista unico), Martin Duffy (tastiere) e Darrin Mooney (batteria), a cui s’aggiunge l’ingresso in formazione più recente, quello dell’affascinante bassista Simone Butler, i Primal Scream hanno lasciato intuire quello che sarebbe stato il mood della serata fin dai primi pezzi, a partire da una concisa, forse meno groovata, ma più terrigna dell’originale Come Together, pronta a sfociare in quella cover di Slip Inside The House dei 13th Floor Elevators che faceva mostra di sé sul capolavoro Screamedelica, per poi subito dopo affidarsi ai riff a là Stones di Jailbird.
Che Innes sia un chitarrista col santino di Keith Richards sull’amplificatore pare evidente per buona parte del concerto, ma c’è da dire che il suo è uno stile piuttosto eclettico e capace di diverse sfumature, comprese quelle noisy quando servono. È ben servito da un Duffy a suo agio sia quando i pezzi abbisognano di un sound classico basato su piano o organo, sia in quei momenti in cui tastiere ed electronics fanno il loro ingresso, stasera minoritari ma non del tutto assenti, e da una sezione ritmica senza dubbio solida e potente.
Gillespie incita il pubblico, invita al singalong e al battimani, la sua voce non potentissima va e viene, ma chi se ne frega, dal palco arrivano solo good vibrations, persino dai soli due pezzi tratti da Chaosmosis, (Feeling Like A) Demon Again e 100% Or Nothing. Certo, è quando partono canzoni dall’aroma gospel come It’s Alright, It’s Ok, classici come Loaded o come una sempre lancinante e durissima Swastika Eyes, oppure da un finale di set festoso e iper rock con brani quali Country Girl o Rocks che il concerto diventa trionfo di divertimento ed esaltazione.
Quando i cinque scendono dal palco, ovviamente, tutti ne vogliono ancora. Nell’encore prima attaccano con una livida Kill Your Hippies, poi, su richiesta ai suoi compagni dello stesso Gillespie, improvvisano sul momento una Accelerator non prevista in scaletta (presentata con un “ora facciamo del punk rock”) e infine chiudono con quel sempre messianico inno che è Movin’ On Up.
Al momento, tra i concerti dell’anno.