Ci avessi scommesso sopra, avrei finito col perdere. Suggestionato da una serie di recensioni del loro ultimo album più che positive, quando non addirittura entusiastiche, e dal ricordo, durante un Primavera di un paio d’anni fa, quando ancora si chiamavano Viet Cong, di una Sala Apolo inaccessibile per l’incredibile affluenza di pubblico, proprio mentre erano loro lì a suonare, mi sarei aspettato un’accoglienza ben più calorosa per la prima data milanese dei Preoccupations. Al Magnolia, invece, ad accoglierli siamo il solito sparuto, ancorché entusiasta, manipolo di appassionati, tanto che, anziché sotto il ben più capiente tendone, i quattro musicisti canadesi di Calgary, è sul più piccolo palco interno al locale che si presentano.
Prima di loro, un’altra band canadese, il duo elettronico Joyfultalk, che per una mezz’ora circa ha provato a scaldare la serata con le sue volte tastieristiche e i suoi ritmi pulsanti, certo non infastidendo, ma neppure rimanendo particolarmente impresso nella memoria.
Di tutt’altro tenore la performance dei Preoccupations, decisamente potente e d’impatto, molto più che su album, resa tra l’altro più varia dall’interazione fra i pezzi del loro recente album omonimo e quelli facenti parte del passato come Viet Cong (e qui mi chiedo: ma sarà possibile che un nome come quello, ancora oggi, potesse creare talmente tante polemiche, grane e preoccupazioni, da costringere la band a doverlo cambiare? Mah!).
Come che sia, proprio nell’equilibrio tra un presente più canzonisticamente new wave e joydivisionaniano e un passato più spigoloso, post-punk e noise, che il concerto è stato particolarmente appassionante. La voce del bassista Matt Flegel è dal vivo più aggressiva e ruvida, necessariamente verrebbe da dire, visto la potenza scatenata dal drumming muscolare, precisissimo e particolarmente deflagrante di un ottimo Mike Wallace e dalle chitarre acide di Scott “Monty” Munro e Daniel Christiansen, entrambi anche ai synth.
Ecco quindi che ad una recente Anxiety messa in apertura, si risponde subito con un’incalzante Silhouettes e con una tribale e visionaria March Of The Progress (entrambe dall’omonimo dei Viet Cong), con una Select Your Drone, tratta da Cassette, dalle acuminate lamine psichedeliche, con una Continental Shelf (ancora da Viet Cong) dove la melodia pop viene attraversata da un bordone di distorsione.
Con Memory, Degraded, Monotony, Zodiac e Stimulation si ritorna al presente, ma nella dimensione live il tutto viene caricato di un vigore maggiore, il quale letteralmente manda in orbita i vari pezzi. Un percorso esaltante che ci porta ad un finale ancor più strabiliante, con un’ipnotica, devastante, lunghissima Death, la quale suggella il tutto come meglio non si potrebbe, non lasciando (giustamente) nessuno spazio alla qui inutile retorica dell’encore. Gran concerto e ottima live band!