Non è la prima volta che vedo un concerto dei Nine Below Zero ma l’esibizione di San Valentino al Teatro Duse di Besozzo è la migliore a cui ho assistito. Un set brillante e pimpante dove la musica ha avuto degna accoglienza in un teatro dall’ottima acustica ed un service finalmente a livello europeo.
Da parte loro i Nine Below Zero si sono dimostrati quella macchina da guerra del rhythm and blues che da anni cavalca le scene mietendo consensi ed applausi, seguiti da un pubblico anche in Italia fedele e appassionato. Per l’occasione si sono presentati con una formazione a sei con la front line occupata dai due storici veterani del gruppo, l’esuberante e spiritoso chitarrista e cantante Dennis Greaves, strepitosamente in forma con la sua Stratocaster d’annata, per l’occasione tutto vestito di bianco e il più pacato ma altrettanto versatile Mark Feltham, giocoliere con l’armonica e cantante in alternativa a Greaves, per l’occasione tutto vestito di nero.
Di fianco a loro la giovane Charlie Austen (entrata nella band qualche anno fa al tempo di 13 Shades Of Blue ), la quale ha ingentilito con la voce i pezzi più melodici e soul della serata. Dietro di loro tre pischelli poco più che ventenni ma con un tiro ed un’energia da vendere. Il figlio di Greaves batte i tamburi con veemenza e lucidità, il bassista è dinamico nel costruire linee non scontate ed il ventitreenne tastierista aggiunge un tocco honky-tonk al tutto, imbracciando la chitarra ritmica quando la frenesia collettiva spinge verso un punk di derivazione mod.
La formula è perfetta, davanti donne e anziani di provata esperienza e professionalità – in realtà la Austen, tubino corto e piedi scalzi, in qualche brano è apparsa un po’ intimidita, specie sulle note alte, ma è brava a verniciare di soul i momenti più dolci – e dietro una sezione ritmica giovane e scapigliata che mira al sodo ed impone un ritmo serrato e nervoso. Il risultato è una birra spumeggiante e fresca che contorna un blues servito sia con l’inglese chutney che con salsa BBQ americana, Sonny Boy Williamson rimane uno dei loro idoli e Stormy Monday riceve applausi dall’intera platea.
Ma è il rhythm and blues nella versione pub-rock a trascinare il set e fare sgambettare i presenti seppure comodamente seduti, i quali avrebbero tutti i motivi per alzarsi in piedi e ballare come in un pub della Londra sud da cui i NBZ provengono. Ma tant’è, il divertimento è assicurato lo stesso perché Greaves è un istrione ed un chitarrista coi fiocchi, che in un pezzo cita Keith Richards e quando accenna Whola Lotta Love Jimmy Page, e Mark Feltham è il suo alter ego usando l’armonica alla Lee Brilleaux dei Dr. Feelgood.
Pub-rock teso e scoppiettante e blues americano alla Fabulous Thuderbirds (in particolare nell’esecuzione di Soft Touch) con qualche variazione in direzione di New Orleans ed una spruzzata di British rock alla Who, per una scaletta atta a sintetizzare una lunga carriera discografica. Ci sono i classici di Live at The Marquee ovvero I Can’t Help Myself, Woolly Bully e Homework, quest’ultimi usati nel bis, Treat Her Right e Don’t Point Your Finger Guitar Man dall’album omonimo del 1981, la corale Eleven Plus Eleven lascito di Third Degree e diversi titoli (Breadhead, Austerity Blues, I Wanna Be A Wannabee, Recycle Me, Race To The Bottom) presi dal recente Avalanche, più orientato verso ballate dal tono vanmorrisiano.
Ma quando i Nine Below Zero innestano la marcia non ce n’è per nessuno e l’unico rammarico è non trovarsi in un pub a ballare tra amici e pinte di birra nel miglior spirito del pub-rock, una delle stagioni musicali più effervescenti di Londra che i Nine Below Zero a quarant’anni di distanza riescono ancora a tenere in vita.