Bellissima serata quella del 18 luglio agli Arcimboldi di Milano, nella quale i circa 2.300 spettatori presenti nel noto teatro sito in zona Bicocca hanno potuto godere di un superlativo rock show grazie allo storico batterista dei Pink Floyd Nick Mason ed ai suoi Saucerful Of Secrets, band che dal 2018 ripropone in tutto il mondo le canzoni della celebre band britannica rigorosamente precedenti alla fase di fama planetaria e quindi pre-The Dark Side Of The Moon.
Quello che sono stati bravi a fare Mason e i SOS, come già si evinceva dal loro live album uscito nel 2020, è stato togliere quella patina di antico e datato che ricopriva alcuni dei pezzi dei Floyd risalenti al periodo in esame (1967-72), non rinunciando agli elementi psichedelici, ma riuscendo a creare un sound più moderno ed attuale, da autentica rock band contemporanea. Cosa che sarà evidente anche nel concerto di stasera, al termine del quale il pubblico in evidente visibilio tributerà al quintetto una lunga standing ovation.
Con appena un paio di minuti di ritardo i SOS salgono sul palco: alle chitarre due musicisti che si riveleranno formidabili nonché capaci di creare molteplici sfumature sonore con i loro strumenti, l’ex Spandau Ballet Gary Kemp, che è anche il bandleader nonché una delle due voci principali, e Lee Harris, che si occuperà dei suoni più “gilmouriani” durante lo show; alle tastiere Dom Beken, musicista più che valido ma anche colui che soffre di più il paragone con chi stava al posto suo nei Floyd, il grande Rick Wright (e poi le keyboards sono talvolta un po’ sepolte nel mix a favore delle chitarre), mentre il bassista e secondo cantante è il ben noto Guy Pratt, che conosce Mason come le sue tasche avendo preso il posto di Waters nei Pink Floyd dal 1987 in poi (chiaramente solo dal punto di vista strumentale). E poi c’è appunto Mason, un arzillo ottantenne che si presenta come un tranquillo e posato signore inglese ma che appena si siede dietro ai tamburi è ancora in grado di accendere il sacro fuoco (e che questa sera, “costretto” a parlare in quanto leader del gruppo, si rivelerà anche un piacevole ed ironico intrattenitore).
I cinque attaccano subito con tre omaggi al genio di Syd Barrett, partendo con una lunga e fluida Astronomy Domine che manifesta ciò che dicevo poc’anzi: un brano che mantiene la sua anima psichedelica, ma nel contempo elimina tutto ciò che di antico c’era nel suono del brano originale. A seguire, i due singoli “pop” dei Floyd, Arnold Layne e See Emily Play che vengono riproposti con rispetto e fedeltà e servono a riscaldare il pubblico. La rara Remember Me è un ripescaggio dai primissimi giorni dei Floyd, essendo un pezzo del 1965 mai riproposto in seguito, ed anche lo stile tra rock’n’roll e blues (con tanto di assolo di armonica di Beken) è quello degli albori del gruppo britannico.
È poi la volta del medley strumentale che apriva Obscured By Clouds tra la titletrack e When You’re In, ottimo viatico per le due chitarre di Kemp e Harris, e per un omaggio a Wright con la psych ballad Remember A Day, tra le più note dei primi anni dei Floyd. Lo show entra nel vivo con la splendida ballata acustica di Waters If, che sfocia a sorpresa in una rilettura di Atom Heart Mother, abbreviata e decisamente più rock dell’originale, anche per l’assenza dell’orchestra (con Mason che dà scherzosamente la colpa alla Brexit per non poter sostenere i costi di portarsela dietro), quasi un’altra canzone anche se il tema principale resta inalterato. La prima parte del concerto si chiude con una potente versione quasi rock’n’roll di The Nile Song e con uno degli highlights della serata, ovvero una ripresa strepitosa e qui sì più psichedelica che mai della nota Set The Controls For The Heart Of The Sun (con tanto di uso del gong posto dietro al drumkit di Mason), oltre dieci minuti acidissimi e con l’alone di inquietante mistero dell’originale che resta inalterato.
Dopo venti minuti di pausa i nostri tornano per altri cinque pezzi, regalandoci con i primi quattro il momento forse più direttamente rock dello show: The Scarecrow, pop song quasi beatlesiana che però si elettrifica parecchio nel finale, l’ottima e toccante ballata elettroacustica Fearless (con tanto di ripresa registrata del coro You’ll Never Walk Alone dei tifosi del Liverpool), e due riletture brevi e parecchio rockeggianti di Childhood’s End e Lucifer Sam.
Ed eccoci al momento top della serata, ovvero una versione assolutamente fantastica (e senza abbreviazioni) della suite Echoes, quasi venti minuti di rock e psichedelia ad altissimi livelli in cui tutti i membri del gruppo danno il meglio arrivando addirittura al punto di non far rimpiangere i Pink Floyd, con il pubblico che alla fine si spella le mani per l’entusiasmo. Dopo i ringraziamenti di rito ed una brevissima pausa ecco i due bis, che iniziano con una One Of These Days perfetta nella sua fusione tra rock classico e psichedelia moderna (e gli perdoniamo il fatto che la breve frase che è poi l’intero testo della canzone, l’unica della storia dei Floyd in cui la voce è di Mason, sia preregistrata), e terminano con l’immancabile A Saucerful Of Secrets, altra versione splendida in cui i nostri eliminano del tutto le atmosfere psichedeliche trasformandola in una rock ballad in cui l’intensa melodia viene esaltata a regola d’arte.
Un concerto bellissimo, due ore (al netto delle pause) di grande rock in cui Nick e compagni sono riusciti in maniera egregia a non far pesare neanche per un minuto gli oltre 50 anni dei brani proposti. Qualcuno nel recente passato ha criticato questa operazione di revival bollando i SOS come una cover band di lusso: a parte che avercene di cover band così, e poi non dimentichiamo che Mason è l’unico Floyd ad essere sempre stato presente in tutte le fasi del gruppo, e quindi pienamente legittimato a portare in giro per il mondo queste canzoni.