foto: Lino Brunetti Immarcescibili Mudhoney! A tre anni esatti dalla loro ultima venuta in Italia, tornano a calcare le storiche assi di un Bloom caldo, sudato, pieno di fan vecchi e nuovi, che giustamente non vedevano l’ora di farsi prendere a calci nel culo dai ruvidi riff al fulmicotone della band di Seattle. E in quanto a questo, nessuna delusione, i quattro sono ancora tra i migliori testimonial del più crudo rock’n’roll in cui possiate imbattervi, una macchina da guerra che non ha perso un briciolo di energia, alla faccia del venticinquennale di carriera festeggiato ormai due anni fa. Mark Arm rimane un frontman tra i più credibili nel portare avanti l’animalesca attitudine di Iggy Pop; i suoi riff chitarristici, uniti a quelli di un sempre grandissimo Steve Turner, continuano a macinare eccitazione punk, furia garage ed il primitivismo essenziale del più sulfureo blues; la batteria di Dan Peters è un rullo compressore che imprime potenza assoluta alle composizioni, rese ulteriormente dinamiche dalle linee di basso di un super espressivo Guy Maddison.
Sono una band affiatatissima e super rodata i Mudhoney, che ancora si diverte a suonare dal vivo – basta guardarli! – e che quel divertimento lo trasmettono senza filtri agli spettatori. Qui al Bloom hanno fatto sfilare la bellezza di venticinque canzoni, amalgamando al meglio alcuni brani di Vanishing Point, il loro ultimo, ottimo album (vedi I Like It Small o Chardonnay), con classici immortali – che ovviamente hanno scatenato un pogo selvaggio – come Touch Me I’m Sick, Here Comes Sickness, Get Into Yours e molte altre, in una scaletta che ha attinto da quasi tutti i loro dischi e che ha accolto anche un paio di sacrosante cover (The Money Will Roll Right In dei Fang e Hate The Police dei Dicks). Un suono affilato, vivo, senza un filo di grasso in più, che nulla concede alla nostalgia per i vecchi tempi andati, ma che nel qui ed ora continua ad avere ragione d’esistere. Grandi, grandissimi Mudhoney!
