Foto: Lino Brunetti

Recensioni

Micah P. Hinson, When I Shoot At You With Arrows…

Micah P. HinsonMICAH P. HINSON & THE MUSICIANS OF THE APOCALYPSE
WHEN I SHOOT AT YOU WITH ARROWS, I WILL SHOOT TO DESTROY YOU
FULL TIME HOBBY
***

Il precedente The Holy Strangers era un’ambizioso concept album che raccontava una complessa saga famigliare. Questo nuovo When I Shoot At You With Arrows, I Will Shoot To Destroy You è una raccolta di canzoni apocalittiche su vendetta, sangue, perdono, concepito davanti alla statua di San Giacomo in quel di Santiago de Compostela. Micah P. Hinson, a quasi quindici anni dall’esordio, rimane un personaggio bizzarro e inafferrabile, riconoscibilissimo dalla prima nota di una qualsiasi sua canzone, eppure in qualche modo sempre in grado di spiazzare.

Qui, come al solito, accanto al suo nome piazza una nuova denominazione (stavolta sono The Musicians Of Apocalypse, come quelli che, nella statua di San Giacomo a Santiago, aspettano da secoli un suo cenno per iniziare a suonare), ma non si sa granché circa chi siano i suoi collaboratori. Quello che conta è che in queste nuove sette canzoni, per un programma succinto che non arriva a quaranta minuti di durata, la sua ispirazione sia tutto sommato buona, come forse da un po’ non gli capitava con questa intensità.

La bellezza dei primi dischi, in particolare dell’esordio, forse non l’agguanterà più, ma bastano davvero poche note di I Am Looking For The Truth, Not A Knife In The Back, una ballata dolente e fantasmatica, dove la sua voce profonda è attorniata da un filo d’organo e dalla carezza delle chitarre, per venire inesorabilmente risucchiati ancora una volta nel suo mondo. Non servono molti elementi a Micah P. Hinson per dipingere la sua tela: a volte gli basta qualche accordo di chitarra da aggiungere alle sue parole (My Blood Will Call Out To You From The Ground; Fuck Your Wisdom, nella quale infila due note due di piano), a volte si affida allo sferragliare elettrico di chitarre rugginose (l’uptempo melodico di The Sleep Of The Damned, l’epica Small Spaces), altre  volte centellina un florilegio musicale capace d’evocare con uno sgocciolio di limpide note o con qualche twanging guitar il border meridionale del suo Texas (la splendida title track). Il pezzo più insolito qui l’ha piazzato alla fine, The Skull Of Christ, uno strumentale elettrico che da un certo punto in poi si trasforma in una sorta di corale chiesastica dai toni seppiati e stropicciati. Il tutto con quel pizzico di sgangheratezza e con una produzione minima che fa quasi lo-fi.

Se i cantautori che vi piacciono sono quelli che se ne stanno sempre un po’ fuori dagli schemi e dalle ovvietà, non potrete far altro che convenire con me che Hinson è uno dei più talentuosi della sua generazione. Per certi versi è sempre un po’ una promessa non mantenuta, eppure, anche in questo equilibrio precario su cui si regge la sua musica, sta il suo fascino. 

 

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