Fin dai tempi del primo disco, il bellissimo Micah P. Hinson And The Gospel Of Progress, uscito ormai quasi vent’anni fa (era il 2004), il cantautore texano Micah P. Hinson è stato nelle grazie del pubblico italiano, che sempre lo ha supportato e ne ha seguito le gesta, anche nei momenti in cui è sembrato sbandare pericolosamente, soprattutto in qualche performance live, diciamo così, scricchiolante, o quando le sue celeberrime sfighe (tra le quali un grave incidente stradale che rischiò di fargli perdere l’uso delle braccia) hanno cercato di compremetterne la carriera.
Micah però è sopravvissuto a una vita avventurosa e oggi lo si può addirittura considerare un classico del cantautorato U.S.A. o quantomeno, questo è certo, un artista di culto sempre molto seguito. Lo dimostra stasera un Arci Bellezza stracolmo di gente, a formare un pubblico appassionato e partecipe che ha mandato questa data milanese del suo tour italiano sold out fin dalla prevendita. Segno di quell’amore di cui parlavamo all’inizio, ma anche della bontà del suo nuovo album, I Lie To You, uscito pochissimo tempo fa per la “nostra” Ponderosa Music Records.
Ad aprire la serata, Phill Reynolds, pseudonimo dell’italianissimo Silva Martino Cantele, singer songwriter e one man band dal passato punk e hardcore, ma da sempre innamoratissimo del folk, del blues e delle tradizioni americane, cosa certificata anche da un nome d’arte che rende omaggio a icone quali Phil Ochs e Malvina Reynolds. Avevo apprezzato parecchio il suo A Ride dell’anno scorso, quarto disco solista e concept album pubblicato dalla sempre lodevole Bronson Recordings, e m’è piaciuto moltissimo in sede live, dove ha dimostrato d’essere non solo un valido autore di canzoni, ma anche un performer divertente e passionale.
Oltre ad alcuni pezzi tratti proprio da A Ride, ha proposto una nuova canzone, stavolta in italiano, parte di un progetto a cui sta lavorando al momento e che, da quello che abbiamo sentito, promette benissimo, e, in mezzo ad altre cose, anche una convincente e personale rilettura di Ring Of Fire, di Johnny Cash ovviamente, ma come Phill ha tenuto a precisare, scritta però da June Carter. Davvero bravo!
E se Phill Reynolds, per il suo ultimo album, s’era fatto ispirare dai paesaggi e dalle musiche d’America, nell’ultimo Micah P. Hinson c’è più di qualcosa d’Italia, visto che proprio dalle nostre parti è stato registrato e a produrre il tutto e a suonarci dentro c’era uno come Alessandro “Asso” Stefana (Guano Padano, Vinicio Capossela, PJ Harvey) che stasera ritroviamo qui a banjo, chitarra, lap steel e tastiere, con l’ulteriore aggiunta di Paolo Mongardi (Jennifer Gentle, ZEUS!, Fuzz Orchestra) alla batteria, a far da backing band.
Naturale aspettarsi che il grosso della scaletta si appoggiasse a I Lie To You, che infatti è stato suonato quasi per intero, cover di Please, Daddy (Don’t Get Drunk This Christmas) di John Denver compresa, pezzo quest’ultimo che ha dato il là a qualche simpatico siparietto col pubblico.
Cappello in testa da cui sbucavano un paio di lunghe treccine, Micah è parso in formissima, anche se sempre leggermente stralunato come è sua abitudine (qui e là ha invertito i pezzi della setlist, costringendo Asso a cambiare strumento precipitosamente). La voce profonda è sempre la stessa e come ha sempre fatto è capace di mettere i brividi. Stefana e Mongardi lo supportano con discrezione, ma grande efficacia, con tocchi che si rivelano sempre fondamentali, anche se il grosso lo fanno ovviamente canzoni clamorose come Beneath The Rose, On The Way Home (To Abilene) o la Diggin’ A Grave con cui ha chiuso, giusto per citare alcuni dei momenti più emozionanti della serata, offerti attingendo dal suo repertorio storico.
Insomma, volendo giungere al dunque, è stato come ritrovare per l’ennesima volta un vecchio amico che è sempre bello incontrare quando passa dalle tue parti, e vedere che è in forma proprio come ai bei vecchi tempi, forse anche di più. Una di quelle cose che scaldano il cuore.