Dal 2005 ad oggi, edizione dopo edizione, il Mi Ami ha raggiunto una posizione consolidata ed assai invidiabile fra i festival italiani, tra i quali è forse quello che dura da più tempo, dimostrando sempre di avere una sua precisa identità e una sua ragion d’essere. Dedicato esclusivamente alla musica italiana – indipendente verrebbe da aggiungere, non fosse che il termine ha progressivamente assunto sempre meno senso – nei tre giorni in cui si svolge tenta di tenere fede al suo motto che recita: Musica Importante A Milano. L’edizione 2017 si è appena conclusa e, anche se non ho numeri alla mano, vedendo gli ampi spazi del Magnolia, quasi da sempre la sede in cui si svolge, strapieni di gente in ogni dove, non è difficile immaginare che sia stata un grandissimo successo di pubblico.
La selezione annuale fatta da Rockit prevedeva ben sessanta artisti spalmati su tre giorni e tre diversi palchi, nessuna preclusione di genere e un programma abilmente diviso fra nomi di peso – gli headliner di quest’anno erano Carmen Consoli, i Baustelle e Le Luci della Centrale Elettrica – artisti che possono vantare ormai un buon seguito (gli Zen Circus, Edda, Il Pan Del Diavolo, ad esempio) e tante, tantissime scommesse per il futuro (da quelle in qualche modo già chiacchierate, ad altre invece veramente semi sconosciute). C’è sempre una bella atmosfera al Mi Ami, un festival frequentato in larga parte da un pubblico giovanissimo, vitale e variegato, non composto solo da hipster e modaioli, che di certo è lì per divertirsi, ma che è anche curioso e appassionato nei confronti della musica di un po’ tutti gli artisti in cartellone.
Delle tre sere sono riuscito a partecipare solo alle prime due. Parto subito con quello che a mio parere, tra quelli visti, è stato il concerto più emozionante del festival, ovvero quello di Carmen Consoli. La cantautrice catanese si è presentata sul palco inizialmente da sola, in versione voce e chitarra acustica, per poi farsi progressivamente raggiungere sul palco da un pugno di altri musicisti a chitarra elettrica e mandolino, violino, violoncello, flauto e clarinetto. Una formazione di gran classe che ha fatto rifulgere in maniera straordinaria e magica un repertorio che si è rivelato toccante e intenso, reso dalla Consoli con la voce bella e particolare che tutti le riconosciamo e un fascino immutabile, semplice e irresistibile. Molti ovviamente i pezzi famosissimi, da Parole Di Burro, con cui ha aperto, passando per una bellissima Geisha, Contessa Miseria, un’immancabile Confusa E Felice. Molto riuscito anche l’omaggio a Joni Mitchell – una sorta di tributo a suo padre, che tanta bella musica le fece scoprire quando ancora era piccola, ha confessato – con un’emozionante versione di Little Green, così come un bel momento è stato anche quando, chiudendo il suo set principale, ha eseguito ‘A Finestra, l’unico pezzo cantato in dialetto siciliano.
Bravi, ma non altrettanto intensi i Baustelle la sera dopo. Il loro recente L’Amore e La Violenza, a parere di chi scrive, è il disco più debole della loro discografia, con qualche picco, ma anche con diverse cadute di tono ai limiti del kitch. Il loro concerto è stato in larga parte basato proprio sull’ultimo album, le cui canzoni di certo funzionano facendo ballare, ma che anche in questa sede non arrivano mai ad emozionare fino in fondo. Per fortuna ci sono stati però anche molti ripescaggi dai dischi vecchi, a partire da alcuni pezzi dall’esordio, Sussidiario Illustrato Della Giovinezza (Gomma, La Canzone Del Parco, La Canzone Del Riformatorio), passando per canzoni ormai classiche come Charlie Fa Surf o come La Guerra è Finita, che rimane uno dei capolavori della musica italiana degli ultimi vent’anni. In formazione allargata, con dentro musicisti di gran valore come Diego Palazzo o Sebastiano De Gennaro, i Baustelle, guidati da un Bianconi non propriamente animale da palco (più scatenata, alla bisogna, la sempre brava Rachele Bastreghi), hanno pure eseguito un pezzo nuovo, Veronica n.2, conquistando un pubblico che ha reagito per tutto lo show con calore.
Delle altre cose viste, segnalerei senz’altro i sempre grandissmi ed energici Zen Circus, giusto penalizzati da un suono troppo basso e con la sezione ritmica troppo in evidenza a scapito delle chitarre (almeno dove mi trovavo io); Il Pan Del Diavolo, convincenti sui ruspanti brani vecchi, un po’ meno su quelli del nuovo album, quello della svolta pop; Colombre, ancora un po’ naif sul palco, ma autore e interprete di una serie di brani che anche in sede live lasciano il segno, in particolare tramite un’intensissima Blatte; il cantautorato espanso e psych pop di Giorgio Poi; l’ultima apparizione milanese dei contagiosissimi Drink To Me, visionari ed elettronici.
Di carne al fuoco ce n’era comunque molta di più e ognuno avrà avuto modo di costruirsi il proprio Mi Ami, proprio come avviene in tutti i veri, grandi festival. Appuntamento già fissato all’anno prossimo!