Foto © Helga Franzetti

In Concert

Mavis Staples live a Barcellona (ES), 20/6/2024

Qualcuno ha detto che sarei rimasta delusa: la risposta è dentro a una serata che per controbattere all’affermazione avrebbe avuto in sé solamente il tuffo al cuore di vedere a 5 metri quella donna che di vita ne ha vissuta, quell’artista che di musica ne ha fatta, quell’icona soul tra un mix di fede e impegno sociale ancora respirabile attorno alla sua lucente aurea.

Una persona che a venerande 84 primavere ancora sta sul palco per amore e per passione, quell’ardimentoso sentimento che non riesce a cedere a un’età da portico e orto casalingo. Apre il giovane Jon Muq, dall’Uganda ad Austin su una nave da crociera, combinazioni fortunate che lo portano a casa Auerbach (Easy Eye Sound) con un’ampia gamma di influenze musicali.

Mavis Staples è una grande musicista, Mavis Staples ha una band a dir poco strepitosa, Mavis Staples ha forse la sfortuna di incrociare il Boss sulla sua strada o la partita di pallone. E forse Mavis Staples si attendeva un pubblico più numeroso in quel Paral-el 62 che di tre piani ne apre solo uno, la sala fronte palco. Un grande punto di domanda se cominci a chiederti perché, ma una situazione nella quale ti ritrovi troppo spesso ormai. Scelte, forse, ma qui stiamo parlando di una donna che ha costruito la storia musicale dell’America, non è un nomignolo per amatori strampalati come me.

E qui ce l’ha messa tutta lei, nonostante affaticata dal “non facile” (come sottolinea) peso dell’età e degli acciacchi. Il guizzo della tempra che da giovane l’ha sempre accompagnata usciva prepotente tra piccole pause, su quel seggiolino a due passi dal microfono e un gradito aiuto dai fratelli musicisti. Una band mostruosa, con Rick Holmstrom che dà voce a una Telecaster infuriata, due coriste Black and White come nel miglior copione e una sessione ritmica a spingere sempre in avanti senza mai mollare il colpo: raffinato gusto timbrico, brillante ed efficace.

Una band che non solamente si occupa di una preziosa Mavis con amorevole attenzione, nascondendo un poco di apprensione per la fragilità di una forte donna che non può essere invulnerabile per sempre, ma che sostiene il set con una competenza ammirevole. Di fronte al caloroso pubblico prevale il senso instancabile di tutto quello che ancora amiamo: il funk, il blues, il soul e il rock dal sound cangiante ed espressivo di emozioni, quella sensazione che ti prende il cuore e ti accompagna in un viaggio nel passato, cura le ferite, inscatola le cose.

Io vengo da Chicago: città di Howlin Wolf, Muddy Waters, Buddy Guy, Coco Taylor“, e ci ricorda quanta gloria con una carrellata che va da Who Told You That a Soldier, Eyes, Have Male You Happy e una commovente The Weight a coinvolgere gli spettatori.

Se è mancato qualche cosa è un encore che avrebbe regalato allo spettacolo una durata un po’ più sostanziosa, ma probabilmente questo è il massimo che riesce ancora a regalare quella donna dalla strepitosa vita artistica ed umana e dalla voce dal potere onnipotente.

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