Se come diceva Eliot (ma pure Derek Raymond), “aprile è il più crudele dei mesi”, maggio quest’anno si sta rivelando senz’altro il più piovoso. Starsene tappati in casa sembrerebbe la più ovvia delle soluzioni, ma secondo noi è molto più interessante e piacevole uscire e rintanarsi in qualche club, nella Palestra Visconti dell’Arci Bellezza ad esempio, dove stasera va di scena il concerto del friulano Massimo Silverio con la sua band.
Silverio è autore di uno degli esordi italiani più interessanti e artisticamente rilevanti degli ultimi mesi, quel Hrudja (recensione sul Busca di gennaio) che, arrivato dopo due EP autoprodotti, lo ha subito posto in quel campionato nel quale giocano personaggi come Iosonouncane e Daniela Pes, un territorio in cui la canzone d’autore si sposa alla sperimentazione, dove il folk, inteso a 360°, incontra l’ambient e la neoclassica, colorandosi di rock ed elettronica.
Nonostante il tempaccio, l’umida sala al Bellezza è bella piena. Nel pubblico si scorge qualche volto noto come quello di Cesare Malfatti dei La Crus e, in generale, si respira nell’aria una certa eccitazione nel voler scoprire come le canzoni dell’album del musicista possano tradursi una volta trasposte su palco.
A dire il vero, a concorrere a creare il mood più giusto ci pensa anche il bellissimo set dell’artista chiamato ad aprire. Damon Arabsolgar, già metà di MOMBAO e di CAVALLIPAZZI, poeta, compositore, produttore e performer, credo stia per pubblicare un disco a proprio nome, anticipato al momento da un paio di singoli. Lo ha presentato qui stasera accompagnato da Arturo Zanica e Giacomo Carlone e, devo dire, anche solo a primo ascolto è stata una piccola rivelazione. Il mondo, in fondo, non è diversissimo da quello di Silverio, ma ha chiaramente una sua personalità nell’indagare tra gli interstizi che ci sono tra cantautorato e musica sperimentale, giostrandosi al meglio tra elettronica e qualche reminiscenza post rock, soprattundo colpendo per l’intensità della proposta e il valore delle canzoni, come detto percebile fin dal primo ascolto. Bravissimo e da approfondire.
Anche Massimo Silverio si presenta sul palco in trio: con lui a voce, chitarra e violoncello, ci sono Manuel Volpe ai synth e all’elettronica (era anche il produttore dell’album) e il formidabile batterista Nicholas Remondino, senza tema di smentita autentico valore aggiunto della performance. I tre sono posti sul palco a semicerchio, con il leader in mezzo. L’atteggiamento semiserio e informale, per nulla pretenzioso, ma anzi pure un po’ timido ed emozionato dei tre, permeato addirittura da una sorta di stupore nel trovarsi di fronte così tanta gente, di Silverio in particolare (che in realtà afferma di essere ubriaco, da buon friulano), li rende da subito simpatici, ma scompare del tutto mentre suonano, dove invece viene fuori un’intensità che emoziona ben oltre quelle che erano le mie aspettative.
A rendere magica la serata, aldilà della bellezza della musica, è il grande affiatamento tra i musicisti, ma anche la presenza di un pubblico davvero attento e partecipe. Non si sente volare una mosca mentre i tre suonano, ma tra un pezzo e l’altro il fragore di applausi e urla è quasi assordante.
Il suono è stratificato e potente. Di base viene suonato l’album per intero, con le melodie cantate nella misteriosa e incomprensibile lingua carnica da un accorato Silverio a fondersi tra i suoni appena pizzicati della sua chitarra o le pennellate del violoncello, punto di partenza di musiche che poi si espandono grazie ai tocchi d’alchimista sonico di Volpe e, come si diceva, della maestria di Remondino, il cui kit percussivo assume una rilevanza maggiore in sede live. Sui sui tamburi mette oggetti, pezzi di metallo, un piatto cavo, elementi suonati poi non solo con le usuali bacchette, ma anche con spazzole di saggina o bacchettine di plastica. Con l’archetto tira fuori suoni stridenti dai piatti e da tutto ciò viene fuori un sound metallico e secco, perfetto compendio al calore della voce di Silverio e ai suoni bassi e pieni dell’elettronica.
I vari pezzi prendono insomma ulteriore vita e risuonano forti tra le pareti del locale, continuando ad aleggiare nell’aria anche una volta che la performance è conclusa. Se non l’avete fatto, recuperate il suo disco, ma soprattutto non perdetevelo dal vivo dovesse passare dalle vostre parti.