L’Ohibò è un circolo Arci posto poco al di fuori della circonvallazione esterna, nella zona sud est di Milano. Più volte ne abbiamo parlato perché negli ultimi anni si è imposto quale uno dei club con la programmazione più ricca, variegata e di qualità, con concerti se non giornalieri quasi, nei quali far alternare sia gruppi italiani, che musicisti stranieri. Stando a quest’ultimi, vi basti sapere che nei prossimi mesi sul suo palco si esibiranno artisti quali Alex Cameron, The Album Leaf, Matthew And The Atlas, Föllakzoid, Jonathan Wilson, Sinkane, The Low Anthem, Algiers, stando a quelli annunciati finora per la nuova stagione. Tenete però d’occhio il loro sito, perché la programmazione è in costante evoluzione.
Uno dei primi concerti, quasi a segnare la riapertura dopo la pausa estiva, era questo di Marissa Nadler previsto per la sera del 20 settembre. La cantautrice è venuta diverse volte in Italia e, se volete un piccolo excursus sulle sue precedenti esibizioni, potete leggerne qualcosa qui.
In apertura di show, scelta azzeccatissima per mood e potenziali affinità musicali, il cantautore italiano Nero Kane (vero nome Marco Mezzadri). Nel breve lasso di tempo che ha avuto a disposizione, solo sul palco (quindi senza l’usuale accompagnamento di Samantha Stella), ha infatti fatto rivivere le spettrali atmosfere desertiche del bellissimo album Love In Dying World, facendo tremolare nell’aria le note estratte dalla sua chitarra elettrica, valido accompagnamento per parole e melodie perse in fantasmatiche lande desolate. In chiusura ha proposto anche un pezzo nuovo che troveremo su un nuovo album ora in lavorazione, che ben fa sperare per il futuro.
Non passa molto tempo da quando Kane scende dal palco, che a salirvi è Marissa, stavolta accompagnata unicamente da Milky Burgess, a chitarra elettrica, basso a pedale e moog. L’accoglie un grande applauso dal centinaio o poco più di persone che sono in sala, ma fin dai primi minuti di concerto la Nadler, al solito vestita con un lungo abito da dark lady, appare inquieta. Ci sono dei problemi con le spie sul palco, non riesce probabilmente a sentirsi adeguadamente e prova in qualche modo a gesticolare per attirare l’attenzione di colui che gestisce i suoni. La cosa va avanti per un po’ e, nonostante gli sforzi del tecnico, pare che non si riesca a raggiungere una soluzione da lei ritenuta sufficiente.
Sebbene le canzoni che esegue le faccia più o meno col suo solito stile impeccabile, tutto questo nervosismo e sommovimento sul palco impedisce a noi ascoltatori di abbandonarci al flusso onirico tipico della sua musica. Anche perché dopo un po’, sempre più nervosa, la Nadler inizia a lamentarsi del caldo che c’è sul palco, pare impigliarsi nel suo stesso vestito, prende a manate la pedaliera evidentemente imbufalita e qui e là sabota lei stessa le sue stesse canzoni.
La quasi austera solennità folk psichedelica delle sue esibizioni passate, finisce così per andare alla deriva in una performance in cui la cantautrice per un po’ ha provato a tenere insieme i pezzi, ma poi ha sbracato quasi completamente, sbandando in più di un’occasione, senza che Burgess potesse fare nulla per migliorare le cose. Una serata no può capitare a tutti, ci mancherebbe, ma un po’ ha sorpreso il fatto che qualche problema tecnico e un po’ di caldo abbiano potuto compromettere l’esibizione di quella che è e dovrebbe essere una professionista.
Il pubblico il suo affetto ha provato a farglielo sentire lo stesso – anche perché non si può negare la bellezza rimasta intatta della quindicina di canzoni eseguite – ma a poco è servito per raddrizzare una serata partita col piede sbagliato, dove a mancare, lo si sarà capito, è stata soprattutto l’atmosfera. Finito il concerto Marissa è stata disponibilissima a firmare dischi e a fare quattro chiacchiere coi fan, ma a quanto mi hanno detto era esausta e profondamente desolata per la mancata riuscita del concerto. Un vero peccato, per lei e per noi.