Servirebbe almeno un libro se non proprio un’enciclopedia e di sicuro non basta un concerto per raccontare la storia e i tanti talenti di un musicista come Marc Ribot, ma forse Ceramic Dog, il trio composto insieme al bassista Shahzad Ismaily e al batterista Ches Smith, con cui lo scorso 21 febbraio si è esibito allo Studio Foce di Lugano, è il progetto che meglio incarna le molteplici anime del chitarrista statunitense.
In verità è difficile prevedere in anticipo cosa aspettarsi dalla serata e le uniche indicazioni vengono dalla scelta dell’atmosfera da club dello Studio anziché gli spazi del Teatro dove qualche anno fa Ribot aveva suonato con i suoi Los Cubanos Postizos, in previsione di un concerto che avrà di sicuro un andamento meno aulico e colto rispetto al background di stampo jazzistico dell’artista. In effetti quando Marc Ribot si siede davanti ad una pedaliera che pare la cabina di pilotaggio di un’astronave, quando Ismaily manovra i volumi dell’amplificatore come un’aviatore in fase di decollo e quando Smith comincia a roteare le bacchette come un giocoliere, l’impressione è che sul palco possa succedere qualsiasi cosa, perchè il qui ed ora del musicista americano e le intenzioni dei Ceramic Dog sono quel frenetico intreccio di pulsazioni funk, schegge punk, derive free, visioni psichedeliche e vortici d’avanguardia, che riempie l’ultimo lavoro di studio YRU Still Here? e che suona come uno dei punti più estremi raggiunti dalla carriera del chitarrista.
In realtà, come puntualizza l’autore, i Ceramic Dog non sono un semplice progetto, ma una vera e propria band, per cui quello che echeggia nella sala piuttosto affollata dello Studio Foce è quanto di più prossimo alla forma canzone possa scaturire da una mente vulcanica e non allineata come quella di Ribot, così come le dinamiche serrate e l’intesa perfetta tra i musicisti fanno pensare alle baldorie elettriche di un classico power trio al massimo dell’eccitazione, come succede quando partono le traiettorie post rock di una lunga e ipnotica Shut That Kid Up o il nervoso hardcore di Fuck La Migra. In un bailame di manoscritti, Ribot cerca parole che canta oscillando tra il martellante fraseggio di un rapper e il flusso di coscienza del poeta beat, declamando testi in cui si individuano le stesse istanze di resistenza enunciate nello splendido album Songs Of Resistance 1942 – 2018 dello scorso anno, oppure che hanno l’aria di divertenti nonsense zappiani come capita quando partono il febbrile funky di Beer, il dondolio lisergico di una caraibica Pensylvania 6 6666 o la stralunata rilettura di Satisfaction.
Sebbene i Ceramic Dog mantengano i volumi, la ferocia e le tensioni di una rock’n’roll band per buona parte dello show strappando dalle sedie il composto pubblico svizzero, non manca lo spazio dedicato all’eleganza del jazz o alla poesia di una ballata dall’aura folk, momenti in cui la tecnica superba del chitarrista prevale sulla foga dello sperimentatore. Nell’entusiasmo generale, i Ceramic Dog regalano un doppio bis ad una platea quasi stordita e sopraffatta da un concerto che probabilmente rimarrà uno dei momenti più eclatanti della pur ricca stagione elvetica.