Quando si parla di Lisa Hannigan è facile indulgere nel pettegolezzo, soffermandosi sulla sua trascorsa liaison con il cantautore Damien Rice e sui presunti flirt con Glen Hansard, piuttosto che concentrarsi sull’autentico talento di un’artista che è riuscita a costruirsi una propria luminosa carriera, rivelandosi all’altezza di un produttore come Joe Henry e di un musicista come Aaron Dessner, che l’ha aiutata nella tribolata realizzazione dell’ultimo album At Swim.
Chi ha sfidato le nebbie di una notte di fine ottobre per raggiungere il Fabrique di Milano, dove era in programma il concerto della graziosa fanciulla di Dublino, non era certo interessato ad inutili facezie da cronaca rosa, ma piuttosto alla meraviglia di una voce davvero emozionate e all’incanto di canzoni che intrecciano folk, jazz e pop con inusitata grazia. Inaspettatamente in sala sono state disposte ordinate file di sedie come nel parterre di un teatro, posti occupati da un pubblico talmente giovane che si potrebbe supporre sia prevista l’esibizione di una qualche scatenata boy-band, anziché il concerto di una cantautrice con la predilezione per liriche riflessive e suoni quieti e affascinanti.
Ogni perplessità svanisce non appena si spengono le luci in sala e sul palco sale Heather Woods Broderick, sorellina del più celebre Peter Broderick, che in solitudine snocciola una manciata di translucide ballate indie-folk, accompagnandosi con i riverberi di una chitarra elettrica e le note di una tastiera, lasciando intuire da subito che il tenore della serata sarà piuttosto intimo e poco rumoroso. Non a caso, Lisa Hannigan pretende che l’incipit della sua esibizione, che si apre con una dolce Little Bird per sola voce e chitarra acustica, non venga disturbato nemmeno dagli scatti dei fotografi, evitando che la fruizione di quella voce davvero intensa e delle delicate melodie che l’accompagnano, venga in qualche modo incrinata.
In un’elegante abito scuro, Lisa ha tutta l’aria di una graziosa Mary Poppins, capace di mirabili incantesimi quando canta al contrario la prima strofa di Undertow come fosse un’astruso scioglilingua o quando interpreta una splendida Passenger pizzicando le corde di un mandolino, quando regala emozioni esorcizzando il dramma di una canzone come Prayer For The Dying o infine quando trasforma il poema di Seamus Heaney Anahorish in un’antico canto marinaresco. Accanto alla cantautrice irlandese, che si alterna alla chitarra, al mandolino, all’ukulele e all’harmonium, si muove un piccolo ensemble composto da contrabbasso, batteria e tastiere, oltre alla sei corde elettrica e ai controcanti della Broderick: una band precisa e discreta che fluttua tra atmosfere jazz e polveri folk, spargendo dolci sfumature attorno ad una vocalità davvero calda ed espressiva.
In primo piano ci sono i brani del nuovo At Swim, un’album che le è costato un duro lavoro e una certa angoscia in corso di realizzazione, ma che alla fine pare aver alimentato l’entusiasmo e la passione della cantante, percepibili nei gesti e nelle parole con cui comunica con un pubblico attento e puntuale nel restituirle applausi: sono brividi quando parte l’intensissima We, The Drowned, mentre è impossibile resistere ai cori contagiosi di una What’ll Do dalla preziosa filigrana etno-pop, per lasciarsi trasportare infine dalle gioiose melodie della conclusiva Sail On. Umile e gentile come se sul palco fosse capitata per caso, Lisa Hannigan è un’interprete di grande sensibilità e talento: lo dimostra un’esibizione che ha lasciato magari poco spazio allo spettacolo e all’improvvisazione, ma che ha senza dubbio regalato emozioni e momenti di rara poesia.