Recensioni

Leonard Cohen, Can’t Forget: A Souvenir of The Grand Tour

cohenLEONARD COHEN
Can’t Forget: A Souvenir of The Grand Tour
Sony
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Sorprendente Leonardo. Uno pensa che quando l’artista supera la boa degli ottanta anni sia più che fisiologico rallentare i ritmi e le cadenze lavorative. Leonard no. Non so se le occulte forze della religione zen lo aiutino particolarmente, sta di fatto che il nostro Eroe non solo riesce a mantenere un attività concertistica degna di Miley Cyrus (con le opportune differenze estetiche) ma dopo aver rilasciato un album di inediti tra i più intensi dello scorso anno – Popular Problems era il titolo e ha meritatamente vinto il Juno Awards come Miglior Album canadese – dopo aver dato alle stampe alcuni album dal vivo che lo riprendono nelle varie tournée internazionali, oggi destando stupore, pubblica un altro live album. Quello che sorprende è che il nostro in decenni di carriera, dal 1967 al 2014 il conto fatelo voi, ha pubblicato solo tredici album. Ora in questi ultimi tre anni Leonardo ha dato alle stampe un album di inediti e alcuni live album e quello che stiamo per recensire.
L’album in oggetto , da pochi giorni disponibile si intitola Can’t Forget: A Souvenir of The Grand Tour.
Ancora un album dal vivo? Era il caso? Non è che il ragazzo si stia ripetendo? Fidatevi: Cohen è un grande artista e questo live è una manna per chi lo segue da anni. L’album è costituito da dieci brani tutti, e sottolineo tutti, di grande intensità emotiva.
Cohen non canta, declama, parla e ammalia – sono nato con il dono / di una voce d’oro raccontava in Tower Of Song facendo palpitare i cuori delle ragazze inglesi non tutte ottuagenarie invero, in Live in London (2009) – e in questi dieci brani Leonard si racconta prendendo vecchie canzoni del passato – Field Commander Cody, Joan of Arc, superlativa, e Light as the Breeze in una versione da quattro stelle – nuovi brani quali Never Gave Nobody Trouble e la splendida Got a Little Secret.
Leonardo ha una voce che ammalia aiutato però da una struttura musicale è di prim’ordine: il tappeto sonoro è creato da Javier Mas chitarre, laud (strumento a corda di origine arabo-ispanica, ne esiste anche una versione cubana, vedi Buena Vista Social Club), archilaud, banduria (altro strumento a corda di origine araba molto simile al mandolino) e il violinista Alex Bublitchi, infine e qui mi alzo in piedi e applaudo senza ritegno alle coriste inglesi Hattie e Charlie Webb (tre album a loro attivo come duo, le Webb Sisters), che Cohen definisce in possesso di voci sublimi e tutti i torti non ha. Oltre agli inediti prima citati , Leonard inserisce nel mazzo due cover mozzafiato: la prima si intitola La Manic o meglio La Complainte de la Manic (Il lamento della Manic), una canzone famosissima in Canada e zone limitrofe, abbastanza sconosciuta in Europa anche se la versione francese è stata registrata da molti artisti tra cui Salvatore Adamo, un nome che, per chi ci legge con gli occhiali da presbite e ha i capelli innevati, dovrebbe riportare alla memoria personaggi dimenticati degli Anni Sessanta. La Manic fu composta da Georges Dor nel 1966. George , originario del Québec e scomparso molti anni fa, fu autore, saggista, compositore, drammaturgo, cantante, poeta, traduttore ed altro ancora. Le liriche rappresentano una immaginaria lettera d’amore scritta da un operaio che lavorava al progetto della diga idroelettrica sul lago Manicouagan, abbreviato in gergo con La Manic, appunto.
Il brano Se tu sapessi quanto ci si annoia qui a La Manic mi scriveresti molto più spesso, qui al Manicouagan talvolta ti penso così intensamente che mi raffiguro la tua anima e il tuo corpo divenne un successo senza precedenti, sia per il testo che per la musica: chiaramente Cohen, arrota le erre e la interpreta con passione. Il pubblico , la registrazione live è stata effettuata a Quebec City nelle vicinanze del lago citato nella canzone, reagisce con sorpresa e stupore (Cohen infatti mai aveva inserito questa canzone nel suo repertorio).
Altra perla presente nell’album è Choices un brano country – Cohen non ha mai nascosto il proprio amore verso questo genere di musica – composto da Bill Yates, Mike Curtis e Rob Lyons, ma portato al successo nel 199 da George Jones. Cohen si appropria del brano, lo fa suo: allontana l’ingombrante immagine di Jones dal microfono, si indirizza il fascio luminoso del faretto su di sé e interpreta questa canzone da par suo : attenzione, Choices ha un testo che sembra uscito dalla penna dell’artista canadese. E anche qui le sublimi voci delle Hyatt arrivano al cuore.
Cari lettori buscaderiani, ascoltate questo live album di Cohen vi troverete arte, mestiere, bravura e tante emozioni. E mentre Cohen si inchina togliendosi il cappello di feltro dal capo, anche noi simbolicamente lo imitiamo rendendo omaggio a un grande artista che a ottant’anni dimostra una vitalità sorprendente. Altamente consigliato.

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