LEON BRIDGES
Leon
Columbia
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When A Man Cries potrebbe stare, se non nelle scalette ufficiali, almeno tra le B-sides dei singoli di Let Love Rule senza sfigurare. Una ballad molto in linea con il Lenny Kravitz prima maniera pur se «depotenziata» a livello di forza interpretativa. Inseguendo vecchie coordinate dei tempi che furono, nella terra di mezzo tra soul e rhythm and blues dei Cinquanta e Sessanta, Leon Bridges (all’anagrafie Todd Michael Bridges), conferma — anche con questo suo ultimo LP — la bontà dell’intuizione della Columbia.
I talent scout della major discografica, nella prima metà degli anni Dieci, decidono di puntare su di lui, giovane lavapiatti con la passione per la musica e un grande talento nello scrivere canzoni. Un illustre sconosciuto che allora, era il 2014, aveva all’attivo solo una manciata di brani su SoundCloud e un esiguo numero di esibizioni per musicisti amatoriali, principalmente dalle parti di Fort Worth, nel Texas, dove il nostro iniziava a farsi notare. La sua è musica di classe, ancora più raffinata in questo Leon, il quarto album di una carriera che, con ogni probabilità, andrà avanti a lungo.
In apertura si nominava il primo Kravitz, quello più pop soul, ed un altro riferimento immediato è Seal, quello pop al quadrato. A dispetto del titolo, Panther City non graffia, ma piuttosto rilassa, chill-music senza troppe pretese, se non quella di far stare bene chi ascolta. Visto il risultato finale si perdonano senza troppi sforzi le ingenuità e un suono forse troppo levigato e lavorato. Una sensazione di iperproduzione che, va detto, emerge in più di un’occasione addentrandosi lungo la scaletta dell’album.
Suono che certamente risulta più a fuoco nella successiva Ain’t Got Nothing On You, questa davvero interessante, con il recupero di una componente rétro che rimanda a certi passaggi del suo EP del 2020, Texas Sun. Never Satisfied dà spazio ad una componente più calda e soul, mentre Peaceful Place gioca con trame diverse, provando a sparigliare le carte con un approccio più world. Da Can’t Have It All si torna su terreni maggiormente congeniali a Bridges, artista che riesce ad emozionare e a convincere davvero in Ghetto Honeybee, esempio di come costruire una canzone pop di pregevole fattura.