Rispetto all’accoppiata Kim Gordon/Thurston Moore, all’interno delle complesse dinamiche Sonic Youth, il ruolo di Lee Ranaldo è sempre apparso più defilato, meno centrale. Un’impressione dettata dal fatto che per la band Lee scriveva e cantava meno canzoni degli altri due – fateci caso, tutte bellissime però – e che non tiene comunque conto di quanto la sua chitarra e la sua attitudine alla sperimentazione fossero centrali nella creazione di quella complessa macchina sonora che erano i Sonic Youth.
Non contando Steve Shelley, il quale ha messo bacchette e pelli al servizio di molti, ma non ha fatto nulla a proprio nome, Ranaldo finora è parso quello più intenzionato ad andare oltre quelle che erano le sonorità della celeberrima band, al contrario di Moore e della Gordon che solo parzialmente se ne sono allontanati. Lui si è invece riscoperto singer-songwriter a tutto tondo, per certi versi quasi tradizionale nel suo esplorare il folk, il classic rock, le lunghe jam chitarristiche. Ulteriore carne al fuoco l’ha aggiunta il suo album più recente, Electric Trim, non sempre del tutto a fuoco nel suo essere laboratorio di nuove intuizioni e album forse di transizione, ma ulteriore testimonianza del fatto che il suo autore sta attraversando una vera e propria seconda giovinezza.
Cosa ulteriormente confermata dall’ottimo show messo in scena al Magnolia di Milano. Subito dopo l’apertura dei ritualistici ed iper psichedelici noisers nostrani My Cat Is An Alien – durante la cui performance Ranaldo si è presentato sul palco a sventolare bizzarramente una bandiera bianca – on stage è salito quello che è stato denominato Electric Trim Trio, ovvero Lee stesso a voce e chitarre acustiche, Raül “Refree” Fernandez alla chitarra elettrica e al synth e Booker Stardrum a batteria e percussioni.
Un nome, quello scelto, che dovrebbe far intuire su quali brani sia stato costruito il concerto, chiaramente l’ultimo album, suonato per intero in tutta la prima parte e da cui ci si è distaccati solo nell’unico bis al termine della serata.
Ed è bastato l’intro droning di Moroccan Mountains, il pezzo con cui hanno aperto, per capire che qui si sarebbe veleggiati dalle parti della più febbrile improvvisazione su base rock. Nelle loro versioni live, i pezzi dell’ultimo album sono parsi da una parte più asciutti e meno ridondanti e dall’altro magicamente precisi nel mostrare la brillantezza di una scrittura solidissima e l’abilità di una band nel lasciarsi andare a lunghe jam chitarristiche, dando vita a sprazzi improvvisativi psichedelici, a tambureggianti visioni avant, al fulgore di ogni possibilità offerta da un power trio.
Fernandez è parso un ottimo chitarrista e un po’ per tutto il concerto ha supportato Ranaldo come seconda voce. Altrettanto bravo il giovane Booker Stardrum, fantasioso e ficcante dietro ai tamburi. Su tutto il carisma semplice di Ranaldo, la sua chitarra, le sue canzoni, la sua attenzione alle cose del mondo, vedi quando ha dedicato un pezzo a Internet o quando ha evocato la svolta a destra dell’Italia e del suo paese, prima di avventarsi rabbioso sulla sua chitarra. Rapidi flash di un concerto appassionato ed appassionante nella sua interezza, di quelli che indubbiamente scaldano il cuore.