LAURIE ANDERSON
Amelia
Nonesuch
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Punta di diamante dell’avanguardia artistica, non solo americana, Laurie Anderson — musicista di enorme talento e creatività — mette di nuovo le sette note al servizio dello storytelling, stavolta inerente Amelia Earhart, l’ormai leggendaria aviatrice statunitense che scomparve col suo aereo mentre cercava di portare a termine il giro del mondo. Né lei né l’aereo, scomparso nella nebbia, tra l’azzurro del cielo ed il blu del mare, forse a poca distanza dall’isola di Howland che sarebbe stata l’ultima tappa prima del ritorno e del trionfo, furono mai più ritrovati. Era il luglio del 1937, e ben altre nuvole cominciavano a incombere sulla terra.
Chi ha seguito gli ultimi passi della Anderson, conoscerà Landfall (2018), splendida opera sull’uragano Sandy composta con il Kronos Quartet e, forse anche quel gioiello di parole, immagini e musica che è Heart Of A Dog, straordinaria riflessione sulla vita e la morte incentrata sull’amato cane Lulabelle, sul rapporto con la madre e al ricordo degli affetti scomparsi, siano un amico o l’ex marito Lou Reed. La Anderson è buddista, parla di «Bardo», ma parla anche di accettazione del destino e del mistero della vita. Una vita che prosegue anche dopo la morte.
Se «esteriormente», come opera, Amelia non si discosta dalla storia dell’uragano Sandy, concettualmente qui sembra di navigare ancora nel mistero, nell’onirica trascrizione di suoni, visioni, appunti, pensieri che accompagnano la Earhart, Laurie e anche noi verso l’ignoto. Ventidue spezzoni brevissimi, per meno di 35 minuti, che necessitano però la lettura e comprensione dei testi; uno spoken word, quello di Laurie, che rapisce per il suono della voce e per quanto quest’ultima riesca a tramutare in immagini fulgide le sensazioni di gioia, di pericolo, di stanchezza, di stupore verso le nuove culture incontrate per strada e attraversando il cielo, sino alla scomparsa in mare, dopo i drammatici, ripetuti e non riusciti tentativi radio di connettersi con l’isola di approdo.
La base musicale è splendidamente creata dall’orchestra filarmonica di Brno, la viola e la voce della Anderson sostenute più volte dal canto o controcanto del vecchio amico (suo e di Lou Reed) Anohni e da brevi apparizioni della chitarra e del basso di Marc Ribot e Tony Scherr. Le poche parole, solo raramente cantate (come in India And On Down To Australia), ci immergono da subito in questo viaggio, un viaggio che inizia e finisce con la stessa frase, quella in cui Amelia/Anderson dice che «il suono del motore è la cosa che ricorda di più».
Ancora una volta unica, sorprendente, originale, Laurie Anderson ha portato Amelia in concerto, per la prima volta, sul far del 2000. Le ci sono voluti quasi 25 anni per completarla, sentirla sua e proporla a un pubblico più ampio: gliene siamo grati.