“Il rock’n’roll è uno scontro, litigioso e impetuoso, un adolescente che perde il controllo nel cortile della scuola, braccia e gambe che volano dappertutto, i denti digrignati, il volto rosso mirtillo: è un sound costruito sulla tensione, non sull’armonia”. (Amanda Petrusich)
Troppo intelligenti per lasciarsi incastrare, troppo effervescenti per gli intellettualoidi dell’underground a tutti i costi, i Cracker sono stati mainstream per un rapido momento, vent’anni fa, e poi si sono coltivati un’onesta carriera fatta di tutti gli alti e i bassi di questo mondo, sempre con grande dignità e con una straordinaria passione per la musica e un’aderenza a quell’idea del rock’n’roll che ci trova partecipi, che sceglie da che parte stare, che racconta le storie di uno o più universi, che interseca la vita e i dischi di un gruppo con tutti gli altri. I Cracker l’hanno fatto in modo persino eccessivo, condividendo i musicisti, e in qualche caso persino lo spazio sui dischi, ma poi Berkeley To Bakersfield li ha riportati dove meritano: un livello ambizioso, raggiunto con un disco che ha una sua logica, pieno di soluzioni e di idee, forse persino troppe per tempi come i nostri in cui la soglia di attenzione si misura ormai più in secondi che in minuti.
I Cracker risalgono all’implosione dei Camper Van Beethoven, cresciuti tra Santa Cruz e Redlands, California. Un ensemble incontrollabile, la cui influenza si allunga da anni sui musicisti più coraggiosi e intraprendenti. Bizzarri e sperimentali, anche se una delle prime canzoni dei CVB, Take the Skinheads Bowling, diventa un piccolo hit, segno che un certo songwriting trova comunque un suo pubblico. Ricordava David Lowery che nei CVB così come nei Cracker è il songwriter, il cantante e, insomma, il leader: “Ci sono due cose di cui vado fiero nella mia carriera. Una è che la canzone dei CVB Take the Skinheads Bowling è entrata in una di quelle grandi compilation che CMJ pubblica e l’altra che non siamo mai apparsi in nessuna delle compilation pubblicate attraverso Starbucks. Non si può essere lì dentro e mantenere un certo profilo. Frank Zappa non sarebbe mai entrato, e nemmeno i Misfits o Captain Beefheart. O noi. Quello è un bel segno”.
Quando i CVB si sono sciolti, David Lowery ha incrociato Johnny Hickman, (gran) chitarrista che già conosceva all’epoca delle prime, rispettive rock’n’roll band nell’area di Redlands, California. Attenti a quei due: David Lowery e Johnny Hickman, sono una strana coppia, come potrebbe essere quella formata in precedenza da Tom Petty e Mike Campbell negli Heartbreakers, un nome che ritornerà con una certa frequenza nella storia dei Cracker, o, nei loro momenti migliori, da Dan Stuart e Chuck Prophet nei Green On Red.
Attorno al nome Cracker, il suono cambia rispetto alle stravaganze dei Camper Van Beethoven, la cui storia, ripresa in tempi recenti, è ben diversa e tutta da rileggere. L’attitudine dei Cracker è, almeno a prima vista, più semplice, più orientata verso il rock’n’roll, il pop e le moltitudini di radici della musica americana, senza dimenticare una passione e una salutare forma di dipendenza dai Kinks. Quello che, fin dall’inizio, si distingue è un livello piuttosto acuto nella formazione delle canzoni, e l’esordio omonimo, siamo nel 1992, è già rappresentativo della sensibilità e dello scrupolo con cui David Lowery assembla la visionarietà, da una parte, e la salda percezione della realtà, dall’altra, nel suo songwriting. La prima canzone che riassume questa attitudine, rimasta inalterata nel corso degli anni, è Teen Angst (What The World Needs Now).
Parlare di angoscia dei teen-ager è un tema scomodo, in apparenza fuori posto, visto che l’adolescenza è sempre stata identificata altrimenti, dalla nascita del rock’n’roll, quando la gioventù collimava con la gioia di vivere. Un altro processo, più complesso forse, più stratificato ha portato anche la spontanea joie de vivre in una zona morta. L’onda lunga del riflusso e dei rimpianti seguiti alle rivoluzioni mancate (ma anche a quelle avvenute) ha messo l’invenzione della gioventù, come l’ha chiamata Jon Savage, in una nuova luce, svelandone malesseri e maledizioni inedite. I Nirvana più di tutti, avevano colto e sintetizzato quel malessere con gli ups & downs di Smell Like Teen Spirit, altrimenti raccontato da Douglas Coupland in Generazione X (Mondadori). Spogliato dal clamore dell’epoca, e dal caso che generò, Generazione X rispecchia l’atmosfera plumbea, “una sensazione di tenebra, ineluttabilità e incanto, una sensazione sicuramente provata da moltissimi giovani fin dagli albori del tempo nell’alzare la testa per guardare verso il cielo e vederlo spegnersi”.
Trovi l’articolo completo su Buscadero n. 380 / Luglio – Agosto 2015.